di Vincenzo Di Guida
Se la notte del 10 febbraio 2001 aveste chiesto a Desmond Mason, dove pensasse di essere tra nove anni, vi avrebbe risposto: “ Nella Nba, magari con un anello al dito”. Siamo nel 2001, è il suo anno da rokiee, 17esima scelta al draft 2000 per i Seattle Supersonics, dopo il quadriennio (quattro anni al College, adesso sono roba da lacrime agli occhi) a Oklahoma State. Corpo (196 cm) scolpito da Fidia, doti atletiche da far aprire un’indagine per manipolazione genetica. Un saltatore ammorbante. Difensore di vaglia, in attacco c’è da lavorare al tiro per renderlo una shooting guard d’alto profilo, ma il materiale non manca. Nei Sonics d’annata parte dal pino per dare una scossa d’adrenalina cambiando Brant Barry o Ruben Patterson.
E’ la squadra post Shawn Kemp, ancora di Gary Payton, con un Rashard Lewis in rampa di lancio e un Pat Ewing al ballo di commiato. Il coach è Paul Westphal che verrà spesato dopo 15 partite (6-9 il record), come capo allenatore viene promosso Nate McMillan. A roster autentici oggetti di culto come Vin Baker, giocatore clamoroso a Milwaukee, ma poco splendente nella “Città della pioggia” a causa di un rapporto complicato con la bottiglia. Nella categoria inarrivabili, David Wingate, che da anni nella Lega non combinava una mazza, ma che un posto lo trovava sempre grazie ai buoni uffici del suo grande amico “The Glove”. In testa con il secondo distante anni luce, c’è Pervis “Never Nervous” Ellison. Prima scelta al draft del 1989 da parte dei Sacramento King. Definibile con un eufemistico “ non ha mantenuto le attese”. Tradotto, in lizza con Kwame Brown e Michael Olowokandi per peggior prima scelta della storia. In squadra anche Olumide Oyedeji, nigeriano di 208, che diciamo così a quei tempi imparava l’arte del centro. A gente del genere non daresti tanto credito e invece di partite ne vincono 44 (merito soprattutto di Payton), che oggi basterebbero per andare ai playoff in qualunque Conference. Non allora. Quinto posto nella Pacific e tanti saluti. Torniamo a Mason. Gioca e bene per i Sonics nella prima parte di stagione facendo scattare così la convocazione all’All Star Game dei Rookie, partecipando al raggelante match Rookie e Sophomore. Difesa zero, talento tantissimo, schiacciate pure.
Ecco schiacciate. Mason fa domanda per lo Slam Dunk Contest. Accolta. Alla gara partecipano Baron Davis, Corey Maggete, DeShawn Stevenson, Jonathan Bender, Stromile Swift. Messi in fila, tutti. Il titolo è suo. Il futuro è roseo. E il Re delle schiacciate succedendo nell’albo a Vince Carter. L’anno dopo si ripresenta, ma c’è Jason Richardson e non se ne fa niente. La prima stagione con i Sonics la chiude a 5.9 punti in 19 minuti di utilizzo medio. L’anno successivo i miglioramenti sono evidenti: 12,4 e 4.7 rimbalzi in 32 minuti. Record 45-37, si va ai playoff. Primo turno di fuoco contro i San Antonio Spurs. Una serie bellissima, finisce 3-2 per i texani. Mason fa progressi significativi in attacco, dove alla penetrazione e al gioco in campo aperto aggiunge anche un jumper dalla media interessante. In difesa sale di livello, prendendosi cura dei big avversari. La terza stagione è quella decisiva. Parte in quintetto in ala piccola. Le cifre migliorano ancora (14.1), ma il salto di qualità tanto atteso non arriva. Mason resta dipende troppo dalla sue doti atletiche. Il tiro non migliora, così come la lettura a difesa, mentre il trattamento di palla sembra ancora quella di un rokiee. In più a Seattle c’è aria di rinnovamento e il mercato dà la possibilità di mettere le mani su un certo Ray Allen. A febbraio del 2003, i Sonics impachettano lui e l’uomo franchigia Gary Payton verso Milwaukee in cambio di “He Got Game”. In maglia Bucks Mason non delude e chiude la stagione a 14.8 punti e 3.2 rimbalzi con il 47% dal campo e il 29% da tre (career high), mostrando lampi di atletismo debordante. Milwaukee esce al primo turno con i Nets. Nel 2003-2004 scende complice qualche infortunio a 14.2. Primo turno di playoff con Detroit. Fuori. Passiamo al 2004-2005, che sarà a tutti gli effetti il suo anno. Desmond (che di secondo nome fa Tremaine), viaggia a 17.2 punti di media. Ovvero a un passo da ruolo di stella nel firmamento Nba. Peccato che come stella nella sua stessa squadra si consacra un certo Michael Redd, che conferma i progressi dell’anno precedente issandosi a 23.4 punti. In estate si cambia indirizzo. Con i New Orleans Hornets dell’astro nascente Chris Paul le cose vanno bene ma non benissimo. Ruolo da comprimario (10.8 punti il primo anno, 13.7 il secondo), non da stella. E vai con l’operazione nostalgia. Nel 2007-2008 si torna a Milwaukee. Inizia il declino. Da secondo-terzo violino, si passa a specialista difensivo con rara licenza di tirare (9.7 punti).
La squadra è un disastro (26v-56p), e la parte del leone la recitano Redd, Villanueva, Mo Williams e Bogut. Meglio andare via. Si fanno avanti gli Oklahoma City Thunder. Doppio revival. Mason torna in Oklahoma dove ha giocato all’’università. Per giunta ai Thunder, ovvero la reincarnazione dei defunti Seattle Sonics. Ricordate Milwaukee?. Fate peggio. Solo 39 partite giocate, di cui 19 in quintetto. Domina tale Kevin Durant, che sfiga gioca nello stesso ruolo. Per Mason si viaggia a 7.5 punti di media in 27 minuti. Poi arriva l’infortunio al ginocchio e la stagione va a farsi benedire. Contratto in scadenza, nell’estate passata. Si fanno avanti solo i Sacramento Kings del suo primo allenatore Nba, Paul Westpaul. La firma arriva su un contratto annuale non garantito al minimo salariale (1.8 milioni di dollari). Westpaul lo recluta per le sue doti difensive la capacità di ricoprire più di un ruolo. Per il 32enne texano siamo al canto del cigno. I Kings esercitano la clausola del “non garantito” e lo tagliano dopo sole 5 gare (2,6 punti in 13.2 minuti), o meglio comparsate. Westpaul dirà che non è più il giocatore di una volta. Il nuovo millennio per Mason si era aperto con grandi aspettative. Il decennio si è chiuso da desaparecido. Le ragioni? Tante. Mason è un 1.96 iperatletico che non si è mai trasformato compiutamente in una guardia o in un’ala piccola, ma è sempre rimasto a metà tra i due ruoli. E quando le gambe iniziano a perdere colpi, comincia l’inevitabile discesa. Limiti tecnici e caratteriali lo hanno portato fuori dalla Lega. Una Lega nella quale credeva di poter recitare un ruolo diverso. Un buon giocatore come tanti, un grande atleta come pochi, ma non una stella. Fine della corsa.
da tuttobasket.net