Alzi la mano chi l’avrebbe detto. Praticamente nessuno all’inizio della Regular Season. Altrettanti all’inizio dei playoffs, vista la faticaccia contro i Sixers. E non in molti nemmeno prima di gara-1 contro i Cavs, pur avendo appena mandato a casa i Celtics. E invece, signori, gli Orlando Magic sono i campioni della Eastern Conference 2009.

E ora andranno a giocarsi l’anello contro i Lakers, per la prima finale NBA dal lontano 1995. “Non credo che la gente pensasse che potessimo arrivare a livelli del genere” dice coach Van Gundy. Come dargli torto.

 

Addirittura un quarantello per Superman in gara-6
Addirittura un quarantello per Superman in gara-6

Gara6. Ultima spiaggia per Cleveland. Ci si aspettava una partita tirata, come d’abitudine in questa serie. Niente di più sbagliato. La franchigia della Florida domina dal primo all’ultimo minuto, senza sosta. Dopo l’ultima sconfitta maturata grazie agli isolamenti in punta di LeBron, Van Gundy ha deciso che è ora di fare degli aggiustamenti: che ci batta qualcun altro. LeBron parte piano, ma gli altri latitano – come spesso accade quando la situazione scotta. Le cifre di Mo Williams (6/12 ieri, il 37% dal campo nella serie) non ingannino, perché nella prima metà gara è un disastro e naviga ai margini del match. Delonte West (9/19) sembra avere un po’ di attributi in più, ma non si capisce perché abbia così tante responsabilità nel terzo e quarto periodo. Ilgauskas non incide, per usare un eufemismo (1/5, 22 min) e la sensazione è che con i 2 lunghi in campo dei Cavs non ci sia proprio partita. Lewis fa da subito quello che gli pare: troppo alto sui cambi con un esterno, troppo rapido per il lungo sul perimetro. In generale, Cleveland fa fatica in attacco, ma è la difesa a concedere fin troppo. Poi, l’energia: Howard è stato letteralmente devastante, dominando il pitturato e alla fine i Cavs finiscono sotto a rimbalzo 47-34. Per non parlare del fatto che contro il leader dei Magic (career high nei playoffs giocando a livelli shaquilleschi) non si siano visti antidoti. E non solo per il quarantello e per il 70% abbondante ai liberi in 6 partite, ma perché ormai sa uscire dai raddoppi in post in modo da regalare piazzati ai tiratori o perlomeno da favorire la classica circolazione sugli esterni che di solito porta un buon tiro dall’angolo per i vari Pietrus o Lee o Lewis.

 

La sfida del supporting cast è stata vinta senza dubbio dai Magic
La sfida del supporting cast è stata vinta senza dubbio dai Magic

Altre chiavi: Orlando come sempre va dove la porta il tiro da 3. 12/29 (statistica peggiorata solo nel finale) è abbastanza per far saltare anche la difesa dei Cavs, apparsa comunque come già accennato, meno intensa di quanto fosse lecito attendersi. Ovvio, che non appena è uscito qualche piazzato, Cleveland è tornata a sperare, ma in linea di massima all’Amway Arena i tiratori dei Magic la mettono, soprattutto se la difesa Cavs non riesce a ruotare nemmeno sul primo scarico dal post. Turkoglu (3/12) dimostra nuovamente di essere decisivo aldilà delle percentuali, Alston dimostra di essere nel bene e nel male l’uomo che può incidere di più sul rendimento dei suoi: nelle ultime 2 gare ha un 6/26 dal campo, ma specialmente in casa si accende con facilità. Tra i Magic, comunque, colui che ha il migliore plus/minus (+15) è Courtney Lee: il rookie ha una maturità sconcertante e sa salire di livello quando conta, cosa che lo rende davvero speciale, lasciando perdere le cifre (8 punti, 4 rimbalzi, 4/7). Infine: il contributo della panchina è ancora una volta un vantaggio per i Magic: la serie si chiude emblematicamente 123-66 (!), con Pietrus ancora una volta decisivo sia per il tiro letale (47% dall’arco nella serie) che per l’intensità su due lati del campo. A questo proposito è bene aggiungere qualche dubbio sulla gestione del Coach of The Year Mike Brown. Gibson accantonato nelle prime gare, poi riproposto e nonostante tutto non certo uno dei peggiori; Szczerbiak utilizzato a tratti, e in gara6 semidisastroso, ma preferito comunque a un Pavlovic incredibilmente fuori dalla rotazione dopo una buona gara2; Joe Smith, che anche come caratteristiche tecniche avrebbe potuto dire la sua, con 0 dicesi zero minuti nelle ultime uscite (e contemporaneamente Ben Wallace non proprio scintillante).

 

Per i Cavs non è bastato il solo immenso LeBron
Per i Cavs non è bastato il solo immenso LeBron

Capitolo LeBron. Inutile nascondersi: ci si attendeva ben altro dal 23. Non gli si può certo gettare la croce addosso dopo una serie leggendaria da 38,5 punti, 8 rimbalzi e 8 assist però la gestione del finale di gara4 e soprattutto quest’ultima gara6 sono abbastanza sospette. Non importano tanto i punti realizzati (25) e l’8/20 al tiro. È stato più che altro l’atteggiamento del Prescelto a lasciare qualche dubbio: silenzioso all’inizio, quando ha cercato (invano) di coinvolgere i compagni, col passare del tempo avrebbe dovuto forse prendersi qualche responsabilità in più. Invece troppi attacchi affidati all’estemporaneità di Williams e West e poche idee su come ribaltare la serie. Per alcuni tratti è parso di rivedere la Cleveland degli scorsi anni, coi soliti difetti, legati alla gestione dei possessi importanti (vedi proprio West in gara7 a Boston lo scorso anno). Quest’anno la presenza di Mo Williams avrebbe dovuto risolvere la questione ma l’ex-Bucks si è dimostrato un fantastico secondo violino da stagione regolare, ma non all’altezza per ripetersi nella post-season, dove ha globalmente deluso. Per parecchi minuti, soprattutto nel terzo parziale, la sensazione è stata quella di una Orlando in grado di andare avanti abbondantemente di 30 e se ciò non è accaduto è stato grazie ad alcuni canestri estratti dal cilindro dai Cavs, ma si intuiva che non poteva bastare per rientrare a contatto. Conferma, anche se fino a poco tempo fa pareva una riflessione opinabile, che per vincere a questa squadra serve un altro big da affiancare a LeBron.