Linas Kleiza, il bomber del Baltico

Questa è la storiaLinas Kleiza, il bomber del Baltico

Questa è la storia di Linas Kleiza pubblicata sul “Game Program” distribuito mercoledì scorso al Mediolanum Forum in occasione della gara di Eurolega contro il Bayern Monaco.

Negli anni ’90, sulla scia della disgregazione dell’impero sovietico e il recupero dell’indipendenza degli stati balcanici, i migliori giovani giocatori lituani – con tutto il rispetto per Lettonia ed Estonia se si parla di basket la Lituania è davvero un mondo a parte – cominciarono a emigrare negli Stati Uniti per svilupparsi come giocatori. Lo fecero Jasikevicius e Kaukenas ad esempio e successivamente molti altri. Ma mentre il fenomeno si espandeva a macchia d’olio con alterni risultati, in Lituania le grandi glorie di un passato recente avviarono un nuovo modo di coltivare il talento, quello di fondare delle autentiche istituzioni cestistiche votate alla valorizzazione della scuola lituana. C’era e c’è ancora la Sabonis Basketball Academy e poi la scuola di Sarunas Marciulionis, il primo lituano a sfondare nella NBA. Linas Kleiza fa parte della generazione di giocatori lituani cresciuta all’ombra di queste fantastiche accademie del gioco. “Anche se ho giocato a lungo in America a tutti i livelli, mi ritengo un prodotto puro della scuola lituana” dice Kleiza. Quando i genitori di Linas si trasferirono negli Stati Uniti lui scelse di rimanere in Lituania optando per una carriera al contrario. Continuò a giocare alla scuola di Marciulionis “che era il mio idolo assieme a Sabonis un po’ come per tutti i ragazzi lituani miei coetanei”.
I genitori di Kleiza sono due artisti. Pittura, scultura, restauri. Si trasferirono negli Stati Uniti perché offrivano sbocchi migliori per la loro carriera. Linas non ha ereditato il loro talento artistico ma è stato baciato dagli dei del basket. “Non so dire quando ho deciso di fare il professionista o quando ho capito che c’è l’avrei fatta. So che ho sempre giocato e ho sempre avuto un pallone tra le mani”, racconta. Quando dice che ha sempre giocato parla letteralmente. La scorsa estate è stata la prima dopo dieci in cui non ha giocato con una squadra nazionale prendendosi un periodo di break. Fino a quel momento in vita sua, Kleiza aveva staccato solo in occasione di infortuni. Aveva 17 anni quando decise di riunirsi alla propria famiglia in America. Aveva 17 anni e si trasferì in coincidenza dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono. Per lui che si stava ambientando proprio nella zona di Washington fu un episodio traumatico. Ma in America sarebbe rimasto per otto anni consecutivi. Prima il liceo poi due anni all’università del Missouri e quindi la chiamata nei draft NBA al primo giro e quattro stagioni a Denver spostandosi tra la posizione di ala piccola e quella di ala forte con il compito di aprire le difese. Il titolare del ruolo era Carmelo Anthony. Ai Nuģgets ebbe buone stagioni, forse qualcuna anche ottima. Per questo fece scalpore la decisione di lasciare la NBA in un periodo in cui la sua carriera sembrava in ascesa per tornare in Europa all’Olympiacos.
Più che un ritorno si trattava di un vero debutto. La grande anomalia della sua parabola era questa: pur essendo lituano e sentendosi un’espressione del sistema sportivo lituano, Kleiza fino al 2010 non aveva mai davvero giocato in Europa. Ma lo fece talmente bene, vincendo la classifica marcatori di Eurolega, che nella NBA non gli consentirono di restare ancora da queste parti. Con un contratto di tre anni tornò nella NBA stavolta a Toronto.
Un serio infortunio al ginocchio ha spezzato anzitempo la sua seconda carriera NBA ma gli ha offerto l”assist per costruirsene una nuova in Europa. Prima al Fenerbahce e adesso a Milano.
La sua stagione in Turchia è stata generalmente considerata negativa ma stiamo comunque parlando di doppia cifra media in Eurolega, del record personale in Eurolega (26 punti proprio contro l’Olimpia al Forum) e del titolo turco. Ci sono tanti modi di avere stagioni negative, quello scelto da Kleiza è decisamente uno dei migliori. In estate ha rinunciato ai Mondiali – e ha approfittato del tempo libero per sposarsi – ma non ha rinunciato necessariamente alla Nazionale. La sua etica lavorativa è indiscussa: dal giorno dell’arrivo a Milano ad oggi ha fatto saltare tutti i record di velocità nel portare la propria massa grassa a livelli di forma assoluta. Ha avuto qualche momento di difficoltà e tanti anni di superlavoro lo costringono dopo ogni seduta di allenamento a immergere ginocchia, caviglie e gomiti nel ghiaccio. “Dire quanto valga questa squadra oggi è difficile. Siamo nuovi e abbiamo tanto lavoro da fare ma contiamo di essere al top per le gare decisive della stagione” spiega attingendo ad esperienza e buon senso.

Gioca con il numero 11 perché era quello che indossava Sabonis. Per anni ha giocato con la resta rasata e senza barba. Da un anno ha i capelli lunghi e si è tagliato la barba solo prima del derby con Cantù, finora la prestazione più convincente della sua nuova avventura milanese. Ma si allena troppo bene ed ha troppo talento perché non ce ne siano altre. Molte altre. di Linas Kleiza pubblicata sul “Game Program” distribuito mercoledì scorso al Mediolanum Forum in occasione della gara di Eurolega contro il Bayern Monaco.

Negli anni ’90, sulla scia della disgregazione dell’impero sovietico e il recupero dell’indipendenza degli stati balcanici, i migliori giovani giocatori lituani – con tutto il rispetto per Lettonia ed Estonia se si parla di basket la Lituania è davvero un mondo a parte – cominciarono a emigrare negli Stati Uniti per svilupparsi come giocatori. Lo fecero Jasikevicius e Kaukenas ad esempio e successivamente molti altri. Ma mentre il fenomeno si espandeva a macchia d’olio con alterni risultati, in Lituania le grandi glorie di un passato recente avviarono un nuovo modo di coltivare il talento, quello di fondare delle autentiche istituzioni cestistiche votate alla valorizzazione della scuola lituana. C’era e c’è ancora la Sabonis Basketball Academy e poi la scuola di Sarunas Marciulionis, il primo lituano a sfondare nella NBA. Linas Kleiza fa parte della generazione di giocatori lituani cresciuta all’ombra di queste fantastiche accademie del gioco. “Anche se ho giocato a lungo in America a tutti i livelli, mi ritengo un prodotto puro della scuola lituana” dice Kleiza. Quando i genitori di Linas si trasferirono negli Stati Uniti lui scelse di rimanere in Lituania optando per una carriera al contrario. Continuò a giocare alla scuola di Marciulionis “che era il mio idolo assieme a Sabonis un po’ come per tutti i ragazzi lituani miei coetanei”.
I genitori di Kleiza sono due artisti. Pittura, scultura, restauri. Si trasferirono negli Stati Uniti perché offrivano sbocchi migliori per la loro carriera. Linas non ha ereditato il loro talento artistico ma è stato baciato dagli dei del basket. “Non so dire quando ho deciso di fare il professionista o quando ho capito che c’è l’avrei fatta. So che ho sempre giocato e ho sempre avuto un pallone tra le mani”, racconta. Quando dice che ha sempre giocato parla letteralmente. La scorsa estate è stata la prima dopo dieci in cui non ha giocato con una squadra nazionale prendendosi un periodo di break. Fino a quel momento in vita sua, Kleiza aveva staccato solo in occasione di infortuni. Aveva 17 anni quando decise di riunirsi alla propria famiglia in America. Aveva 17 anni e si trasferì in coincidenza dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono. Per lui che si stava ambientando proprio nella zona di Washington fu un episodio traumatico. Ma in America sarebbe rimasto per otto anni consecutivi. Prima il liceo poi due anni all’università del Missouri e quindi la chiamata nei draft NBA al primo giro e quattro stagioni a Denver spostandosi tra la posizione di ala piccola e quella di ala forte con il compito di aprire le difese. Il titolare del ruolo era Carmelo Anthony. Ai Nuģgets ebbe buone stagioni, forse qualcuna anche ottima. Per questo fece scalpore la decisione di lasciare la NBA in un periodo in cui la sua carriera sembrava in ascesa per tornare in Europa all’Olympiacos.
Più che un ritorno si trattava di un vero debutto. La grande anomalia della sua parabola era questa: pur essendo lituano e sentendosi un’espressione del sistema sportivo lituano, Kleiza fino al 2010 non aveva mai davvero giocato in Europa. Ma lo fece talmente bene, vincendo la classifica marcatori di Eurolega, che nella NBA non gli consentirono di restare ancora da queste parti. Con un contratto di tre anni tornò nella NBA stavolta a Toronto.
Un serio infortunio al ginocchio ha spezzato anzitempo la sua seconda carriera NBA ma gli ha offerto l”assist per costruirsene una nuova in Europa. Prima al Fenerbahce e adesso a Milano.
La sua stagione in Turchia è stata generalmente considerata negativa ma stiamo comunque parlando di doppia cifra media in Eurolega, del record personale in Eurolega (26 punti proprio contro l’Olimpia al Forum) e del titolo turco. Ci sono tanti modi di avere stagioni negative, quello scelto da Kleiza è decisamente uno dei migliori. In estate ha rinunciato ai Mondiali – e ha approfittato del tempo libero per sposarsi – ma non ha rinunciato necessariamente alla Nazionale. La sua etica lavorativa è indiscussa: dal giorno dell’arrivo a Milano ad oggi ha fatto saltare tutti i record di velocità nel portare la propria massa grassa a livelli di forma assoluta. Ha avuto qualche momento di difficoltà e tanti anni di superlavoro lo costringono dopo ogni seduta di allenamento a immergere ginocchia, caviglie e gomiti nel ghiaccio. “Dire quanto valga questa squadra oggi è difficile. Siamo nuovi e abbiamo tanto lavoro da fare ma contiamo di essere al top per le gare decisive della stagione” spiega attingendo ad esperienza e buon senso.
Gioca con il numero 11 perché era quello che indossava Sabonis. Per anni ha giocato con la resta rasata e senza barba. Da un anno ha i capelli lunghi e si è tagliato la barba solo prima del derby con Cantù, finora la prestazione più convincente della sua nuova avventura milanese. Ma si allena troppo bene ed ha troppo talento perché non ce ne siano altre. Molte altre.