BASKETNET: Sei stato uno dei più grandi giocatori italiani nel tuo ruolo eppure anche per te, come tanti altri futuri campioni, il basket non era certamente tra le tue grandi passioni.
MAGNIFICO: “ Il primo contatto con il basket c’è stato durante le scuole medie. Il vice allenatore della squadra di San Severo operava nella nostra scuola una specie di selezione dei ragazzi che pensava potessero provare a giocare a pallacanestro. Io venni scelto ovviamente un po’ per il fisico, l’altezza ed iniziò la mia avventura. La passione per il basket è sicuramente aumentata grazie al lavoro dell’allenatore Cosimo Morfeo e anche guardando mio fratello Nino con il quale abbiamo fatto tutta la trafile delle giovanili. Sono arrivato in prima squadra molto presto, già a 15 anni, e per tre stagioni sono stato prima in serie C e poi in serie B sempre con la squadra della mia città.”
BASKETNET: Ed a 18 anni arriva anche la chiamata per un club di Serie A come la Fortitudo. Un grande salto per un ragazzo giovane dalla Puglia a Bologna alla fine degli anni ‘70.
MAGNIFICO: “ Sicuramente fu una grande emozione essere chiamato da una squadra importante e per di più di Serie A. Prevalevano però in me anche altri sentimenti, non fu per niente facile ambientarmi a Bologna. Non per la città o per la squadra, i compagni e la dirigenza furono eccezionali con me, ma era un momento delicato della mia vita. Avevo appena perso mio padre, era la prima volta che lasciavo casa mia e tutti i miei affetti, ed in più dovevo iniziare la mia carriera da professionista. Tanti dubbi ed un po’ di nostalgia, mi aiutarono tantissimo i dirigenti della Fortitudo, passati i primi mesi poi finalmente sono riuscito a stare sempre meglio a Bologna. E’ stata insomma un’esperienza formativa molto importante, in allenamento avevo la possibilità di confrontarmi con grandi giocatori di classe ed esperienza. Nel mio ruolo giocavo un grande centro come Marcellous Starks, c’erano poi altre persone di grande spessore come Charles Jordan, Dante Anconetani, Franz Arrigoni, sotto la guida di John McMillen, insomma c’era solo da imparare e la qualità dei docenti non mancava”.
BASKETNET: La tua avventura a Bologna dura però lo spazio di una stagione, c’è già la storia che ti attende a Pesaro.
MAGNIFICO: “ Fu un’estate molto travagliata per me, mi avevano subito parlato di un’offerta di Pesaro ma era sul momento piuttosto dubbioso, anzi all’inizio spedii anche un telegramma di rinuncia. La Scavolini veniva da una stagione molto turbolenta, sembrava un ambiente non particolarmente piacevole con mille problemi di spogliatoi, almeno queste erano le sensazioni dall’esterno. Determinanti furono due fattori, anzi due persone che mi convinsero ad andare alla Scavolini: Pero Skansi e Roosevelt Bouie. Skansi venne da me e mi spiegò tutto il progetto della nuova Scavolini, fu molto coinvolgente nel farmi capire le ambizioni ed i programmi di crescita della società. Il contributo di Roosevelt fu invece involontario, anzi forse determinante fu una copia di Sports Illustrated. Ogni tanto avevo la possibilità, attraverso uno zio di un mio caro amico che dagli Stati Uniti che me ne inviava alcuni, di leggere qualche numero di questa leggendaria rivista sportiva americana, e su una di queste copertine c’era Roosevelt Bouie con la maglia di Syracuse. Quando Skansi mi parlò di lui nella mie mente riemerse quell’immagine e fu uno stimolo ulteriore quello di poter diventare il compagno di reparto di un centro così potente.”.
BASKETNET: E mai scelta fu più felice visto che con Roosevelt in soli due anni siete arrivati con la Scavolini, guidata da Skansi, ad un passo dalla storia fermati solo dal Billy Milano in finale.
MAGNIFICO: “ Era l’inizio di una storia incredibile che ci ha visto protagonisti per tutto il decennio. C’erano i germogli di una grande squadra, con Roosevelt mi trovavo benissimo, facemmo subito amicizia ed in campo si creò una bella intesa anche dal punto di vista tecnico. Si stava formando anche tutto quel gruppo storico che poi ci avrebbe portato in alto, arrivarono ottimi giocatori come Mike Sylvester, poi Domenico Zampolini e il miglior giocatore d’Europa, il cobra Dragan Kicanovic e nelle stagioni successive Andrea Gracis Ario Costa. Insomma la base di quella che in gran parte sarebbe stata la Scavolini scudettata. Anche se non ci sono mancate le delusioni, proprio la finale con Milano del 1982 è stata proprio una doccia fredda. Dominammo la stagione regolare, arrivammo alla finale paradossalmente da favoriti pur essendo una squadra sostanzialmente giovane e, forse, non ancora pronta per un traguardo di quella portata. In finale il Billy usò tutta la sua esperienza, il suo carisma, D’Antoni irretì Kicianovic con grande furbizia e per noi iniziarono alcuni problemi. Poi anche Skansi fece quella scelta strana di tenere Kicanovic fuori per gran parte del primo tempo di gara 2, subimmo più noi che loro questa operazione. Da parte mia avevo di fronte un giocatore fantastico come John Gianelli. Ecco, quello ero un altro dei grandi atleti da prendere ad esempio. Un modello di tecnica, di fondamentali, un giocatore intelligente che sapeva abbinare potenza, versatilità, gioco dentro e fuori dall’aerea. Un maestro anche se vissuto purtroppo come avversario. La sconfitta fu davvero cocente, due partite che avevi la sensazione di poter vincere ed invece venivi beffato sempre nel finale. Ricordo che ero in panchina con Zampolini appena dopo la fine con addosso tutta la frustrazione di quella partita a Milano, e nello stesso momento fummo “costretti” ad osservare Mike D’Antoni portato in trionfo dai suoi tifosi che celebravano lo scudetto”.
BASKETNET: Milano a dir poco la vostra bestia nera: due finali scudetti, due finali di coppa Italia e nessuna vittoria per 5 lunghi anni.
MAGNIFICO: “ Noi avevamo tanto entusiasmo e voglia di affermarci. La società era cresciuta molto c’era una struttura ricca di volontà e con un’ottima organizzazione. Furono importantissimi il presidente dei primi anni Palazzetti, ed ovviamente il nostro sponsor e poi presidente Scavolini. Volevamo fortemente lo scudetto, ma loro (Milano) erano davvero fortissimi, una squadra vincente piena di campioni. Dopo il 1982 li affrontammo anche l’anno successivo in semifinale e perdemmo, così come nella finale del 1985 ma li erano sostanzialmente“illegali” con un fuoriclasse come Joe Barry Carroll in campo. Siamo stati sempre ad un passo dall’accarezzare il sogno di batterli ed invece ogni volta venivamo battuti, magari anche di un soffio ma sempre sconfitti, ormai per noi erano una sorta di incubo”.
BASKETNET: Era evidentemente necessario un “antidoto” per sconfiggere la magia dell’Olimpia Milano, e la pozione poteva crearla solo un Mago come Valerio Bianchini che spesso era riuscito nell’impresa a Cantù prima e a Roma poi.
MAGNIFICO: “ Credo che Bianchini sia riuscito a fornirci proprio quegli strumenti psicologici prima che tecnici per sconfiggere Milano. Era capace di creare gli stimoli giusti, l’atmosfera da battaglia con le sue metafore e le sue provocazioni. Eppure avemmo seri problemi di carattere tecnico e di infortuni nella stagione 1987/88. Dovemmo sostituire Greg Ballard per motivi fisici e Aza Petrovic per questioni di carattere tecnico e la fortuna ci arrise perché Bianchini pescò due campioni straordinari come Darwin Cook e Darren Daye. Ci trasmisero la sicurezza del fuoriclasse, abbinata alla mentalità vincente di Bianchini furono il cocktail decisivo per darci la consapevolezza dell’impresa. Due immagini, uno dentro e l’altra fuori dal campo, mi restano in mente di quelle finali magiche per noi e tutta Pesaro: l’immensa chilometrica tavolata per celebrare quell’impresa che mi fece sentire tutto il peso e l’intensità di quello che avevamo compiuto, l’altra è il momento di un fallo di D’Antoni che, nella disperata ricerca di strapparmi il pallone nella partita decisiva che ormai controllavamo, scivolò sul terreno proprio davanti a me. Io ricordai come in un flashback l’immagine della delusione provata con il mio grande amico Zampolini di cui ti ho parlato in precedenza nella finale del 1982. Istintivamente con il dito puntato dissi a D’Antoni a terra“stai giù, questa volta non ci strapperete questo scudetto, stavolta la vittoria è proprio nostra” Non fu un gesto di sfida ne tantomeno di scherno solo la voglia finalmente di urlare a tutta la nostra gente che niente poteva portarci via la festa di quella vittoria”.
BASKETNET: Scudetto che bisserete con Varese anche nel 1990, due scudetti ed una sola coppa delle Coppe nel 1983, cosa vi è mancato per suggellare anche altri successi europei?
MAGNIFICO:” In campo europeo effettivamente quel “qualcosa” di cui parli spesso ci venne a mancare. Ricordo con molto piacere la vittoria del 1983 a Palma di Maiorca contro il Villeurbanne. Non era semplice vincere una coppa delle coppe in quegli anni, anzi, l’unico nostro problema forse che l’evento non fu molto pubblicizzato perché l’avversario non aveva certo il pedigree di un Real o di un Barcellona o di altri grandi club europei. Negli anni successivi ci fu anche un po’ di sfortuna, trovammo avversari capitati per “sbaglio” nella coppa delle coppe come Barcellona e Cibona, ma in generale non fummo in grado di fare la grande partita, l’acuto di quando anche se non sei favorito riesci produrre per ribaltare il pronostico. Il rammarico più grande, almeno in termini di prestigio, furono la sconfitta alle Final Four di Parigi ad opera della grande Pop 84 Spalato di Kukoc, Savic e tanti altri campioni, alla terza vittoria consecutiva e quella, al supplementare, nel McDonald’s Open di Barcellona con New York nella gara di apertura. Erano i Knicks di Pat Ewing, e accarezzammo l’impresa sino alla fine, una beffa perché avremmo penso meritato la vittoria”.
BASKETNET: In mezzo a tutto questo la NBA l’avevi accarezzata anche tu in un’estate molto travagliata ma anche entusiasmante come quella del 1986.
MAGNIFICO:” Quel momento è stato certamente uno dei più gratificanti dal punto di vista personale di tutto la carriera. Ricevetti infatti la convocazione da parte degli Atlanta Hawks per una summer league estiva insieme a Gus Binelli. Puoi immaginare la gioia e la sorpresa di quella chiamata anche se sapevo che Mike Fratello (allora coach degli Hawks n.d.r.) mi aveva già detto che la sua franchigia mi stava tenendo sotto osservazione. Andare li fu come un sogno, parliamo della NBA di 25 anni fa ormai, l’oceano come si diceva una volta era ancora molto largo, eravamo tra i primissimi europei in assoluto ad avere avuto questa chance. Pensa che al mio arrivo tra gli assistenti che preparavano i giocatori al camp c’era “tale” Willis Reed (leggendario centro dei Knicks campioni nei primi anni ’70 n.d.r.) Fu letteralmente squisito sia dal punto di vista umano e tecnico, cercò di darci suggerimenti ed astuzie del mestiere, era come vivere un sogno. E pensare che questa situazione non fu vissuta benissimo sia dai nostri clubs che dalla Federazione, che erano in subbuglio perché volevano capire come gestire questa situazione anomala dal punto di vista contrattuale e non. Insomma c’era la preoccupazione, più che l’entusiasmo, di vederci “scappare” potenzialmente verso la NBA con tutti i problemi di rapporti tra professionisti e la nostra Federazione, i contratti ecc. Un vero peccato se pensiamo ad esempio al genuino, e sacrosanto, entusiasmo nel seguire le avventure dei nostri ragazzi impegnati con i Pro adesso. Ora, giustamente, si pensa a come promuovere un evento come questo, a renderlo uno spot importante per il basket italiano. In quei giorni che precedettero la mia partenza fui anche sul punto di pensare di rifiutare poichè c’era mia figlia Nicole che doveva compiere in quei giorni, un anno. Lì, devo dire fu decisiva mia moglie che mi intimò:” Se rinunci ad un sogno e ad un’opportunità come questa sarò io e non la Federazione od altri a sbarrarti la porta al ritorno”.
BASKETNET:L’incontro con Willis Reed ci da modo di chiederti proprio la tua evoluzione anche dal punto di vista tecnico. Sei stato un lungo che ha fatto di doti atletiche e del dinamismo una delle tue qualità, poi però hai saputo evolverti anche come giocatore che aveva più dimensioni.
MAGNIFICO: “ Mi è sempre piaciuto osservare e cercare di carpire i segreti dei grandissimi campioni, sia avversari che compagni. Alla Fortitudo avevo avuto un esempio di un cattedratico del rimbalzo come Starks, lo vedevi e capivi che non era certo l’esplosività la sua caratteristica principale, eppure dominava sotto i tabelloni con la sua esperienza e la sua solidità. Diventando più maturo, anche se ero ancora giovane anagraficamente parlando, devo molto a Giancarlo Sacco per la mia evoluzione da lungo d’area colorata ad ala centro con anche buoni movimenti lontano da canestro. Mi diede la possibilità di esplorare altre dimensioni del gioco, oltre ad un tiro frontale efficace anche qualche allontanamento da canestro, conclusioni dai cinque, sei metri che mi rendevano potenzialmente più pericoloso e versatile. Qualità che mi permisero forse anche di allungarmi se vogliamo un po’ la carriera quando il fisico non è esattamente più quello degli anni migliori”.
BASKETNET: Amore per il basket e soprattutto per Pesaro con cui hai praticamente fatto quasi tutta la tua vita da professionista. Ci potrà ancora essere la Vuelle nel tuo prossimo futuro?
MAGNIFICO: “ La Scavolini è la squadra che ho nel cuore e con cui ho passato i momenti più belli della mia carriera. Il mio sogno in realtà è quello che Pesaro resti sempre ad altissimi livelli, di scongiurare ogni rischio come quello che già c’è stato purtroppo non molti anni orsono. E per questo dico che qualunque progetto che abbia a cuore la sorte del basket di alto livello a Pesaro mi vedrà sempre in prima fila a dare anche solo un piccolo mattone come contributo, in termini di esperienza, entusiasmo ed energia”
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