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L’ultimo in ordine di tempo è stato Livio Proli, presidente dell’Olimpia Armani Jeans Milano: la sua dichiarazione di alcuni mesi fa “l’Eurolega serve come allenamento per il campionato” (www.repubblica.it - Stefano Valenti) lo ha messo nel mirino di chi, in particolare la Gazzetta dello Sport, è stato da sempre fautore della nascita di Euroleague, sostenendola in questi anni e puntando al contempo a nascondere le gravi difficoltà attraversate dalla massima competizione europea attribuendo ai nostri club responsabilità anche quando non ne hanno.

 

 

Era già accaduto la scorsa estate quando la mancata definizione dell’accordo tra Euroleague e Sky per il rinnovo fu attribuita dalla “rosea” ai club e al nostro basket in generale piuttosto che a chi, a Barcellona, aveva sottovalutato i precisi segnali giunti da Sky. Ma non vi era altro modo per la Gazzetta di salvaguardare l’onore degli “amici” presenti sin dalla nascita di Euroleague negli uffici di Barcellona, protagonisti di un pasticcio annunciato da mesi e cioè attribuire le responsabilità ad altri, come accadde a quel tempo (Gazzetta dello Sport del 22 agosto 2009 a firma Luca Chiabotti). Dunque, cari lettori della Gazzetta, di chi è la colpa se Sky dopo 9 anni lascia l’Eurolega? “ovviamente del basket che non riesce a valorizzare il suo prodotto”.



Prima di Proli (al quale la Gazzetta aveva subito ricordato, a mò di avvertimento, il penultimo posto nella graduatoria delle affluenze in Eurolega - notizia riservata e mai divulgata ufficialmente da Eurolegue e che può pertanto essere uscita ufficiosamente solo da Barcellona e fatta filtrare ad arte per dare una stoccata al ‘patron’ dell’Armani Jeans -) era toccato a Claudio Sabatini, patron della Virtus Bologna, a essere messo all’indice da Barcellona e dalla stampa “amica”, per avere coniato il termine di “gita enogastronomica” riferita alle trasferte della sua Virtus europea nella stagione 2007-08 conquistata grazie alla finale scudetto della stagione precedente.

Partirono raffiche di critiche all’indirizzo di Sabatini e una delle firme allora più in voga nel panorama bolognese-italiano, Marco Martelli (guarda caso a libro paga di Euroleague - anche se solo per breve tempo - e poi, anche se per una sola stagione, a guidare con pochissima fortuna lo scouting della Fortitudo Bologna di Zoran Savic proprio nell’anno della doppia retrocessione…) corse ad intervistare Jordi Bertomeu, il potente boss di Euroleague che bacchettò sulle dita il divo Claudio.

E’ vero, forse prima Sabatini e poi Proli sono stati crudi, forse la loro analisi è spietata ma bisogna guardare dentro le loro parole. In realtà hanno solo sintetizzato in poche parole che il re è nudo dicendo apertamente ciò che molti vogliono nascondere: e cioè che a distanza di dieci anni la Euroleague, partita sotto la spinta dei miliardi di Telefonica (poi eclissatasi) e capace di strappare la competizione alla Fiba, non ha poi saputo creare alcun valore aggiunto per i suoi club, tanto da stimolarli a non considerare la competizione europea una “gita enogastronomica” o tantomeno “un allenamento”.



 

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La verità è che la Eurolega di oggi per i club che vi partecipano è solo ed esclusivamente un costo, sempre più grande per chi vuole competervi ad alti livelli: fatta eccezione per i grandi club spagnoli come Barcellona e Real Madrid (che annacquano le loro spese faraoniche nei bilanci di grandi polisportive che si reggono sul calcio), o per le squadre greche che si divertono a superarsi l’un altro a colpi di milioni di dollari come accadeva a Bologna ai tempi di “Basket City” con il duello tra Cazzola e Seragnoli, puntare in alto in Eurolega è praticamente impossibile. Ci sta riuscendo Siena, per 3 volte alla Final Four negli ultimi 6 anni, ma solo grazie ad una sapiente programmazione che non è nel DNA dei club italiani. Ma anche per Siena la vita non è facile: dopo avere cozzato lo scorso anno contro la corazzata Panathinaikos che avrebbe poi vinto il titolo, quest’anno - complice un girone durissimo dove si trova di fronte squadre come Real, Maccabi ed Efes che hanno investito almeno il doppio rispetto alla Montepaschi - vi è il rischio non solo di vedere ancora svanito il sogno Final Four ma anche quello di accedere ai play off.



Passi per il mancato guadagno ma almeno vi fosse la visibilità. Vogliamo parlarne? La maggior parte della copertura televisiva di Euroleague, nonostante i trionfali comunicati di Barcellona che ogni anno magnificano nuovi accordi in Europa e nel mondo, è rigorosamente a pagamento o sul criptato. in Italia, tanto per fare un esempio ci si è dovuti accontentare di un magro accordo con Sportitalia (a proposito, qual è la reale portata economica dell’accordo? Nessuno ha il coraggio di dirlo) per non confessare che la massima competizione europea in realtà non la voleva nessuno: né Rai né La7 né Sky. Colpa dei club italiani o di un prodotto complessivo che non “tira”?



E vogliamo parlare di Germania, Francia e Inghilterra, cioè i maggiori mercati televisivi europei? Vi sfidiamo a trovare qualche HL di Eurolega nelle reti che vanno per la maggiore di quei paesi. A pagare soldi veri restano la Spagna, paradiso dorato, la solita Israele, e adesso la Grecia, sull’onda del duello tra Panathinaikos ed Olympiakos. Per il resto nebbia e un brand che a distanza di dieci anni in pochi conoscono.

Già, perché se preferite parliamo degli sponsor di questa manifestazione: qualcuno è in grado di riconoscerli o ricorda qualche nome eccellente nel pacchetto degli sponsor di Euroleague tra i vari Sportingbet, Mondo, Nike? Cosa portano in cassa e quale valore aggiunto rappresentano in paragone ai brand mondiali che, per esempio sfoggia, la Champions’League di calcio (nata pochi anni prima di Euroleague) che snocciola a bordo campo UniCredit, Sony, Ford, Mastercard?

E che dire infine del fatto che una delle protagoniste di queste Top 16, l’Efes Pilsen Istanbul, è sponsorizzata da un marchio che è anche tra i partner commerciali di Euroleague? Possiamo parlare di conflitto di interessi o quantomeno di situazione imbarazzante comunque da evitare?



Tutto questo è colpa di Proli e Sabatini che hanno solo il difetto di parlare chiaro o di chi avrebbe dovuto guidare, sin dall’inizio, una politica di marketing e di diritti televisivi diversa? Creando le condizioni per la riconoscibilità di un marchio che, per ora, della Champion’s League ha saputo copiare solo l’inno, pomposo e solenne. Come si chiamava quel film? “Sotto il vestito niente”… Euroleague, se ci sei batti un colpo…



Giampiero Hruby