TREVISO. Una lezione di buonsenso non richiede, da parte del docente, lauree e master: basta la vita, magari una vita in primo piano, per essere credibili. Così Dino Meneghin, mito del basket italiano (è l'unico nostro giocatore a essere entrato nella Hall of Fame della Fiba) e ora presidente federale della palla-a-spicchi, inchioda alle poltroncine della sala conferenze della Ghirada gli studenti del master universitario in strategie per il business dello sport. La vita di Meneghin, diventato, come capita a pochi atleti d'eccellenza, il supermanager nel suo stesso sport (altra cosa è allenare o fare i diesse), è già una lezione. Basta ascoltare le parole chiave che ricorrono nelle risposte di Dinòne: «coraggio, passione, voglia di fare». E i verbi: «ti applichi, lavori, studi».



PAPÀ DI REFRONTOLO. In fondo, con qualche variante e molti aggiornamenti, è la lezione dei nostri vecchi. «Anche quella di mio nonno e mio padre, razza Piave, entrambi di Refrontolo - spiegherà più tardi -. Lo so che per l'anagrafe sono bellunese, ma solo perchè i miei si trasferirono a Domegge per lavoro: in realtà sono trevigiano di stirpe. Se esiste la Razza Piave? Certo, come princìpii di vita ne sono sicuro. E questi princìpii si riassumono così: poche parole, olio di gomito e... lavorare. Mio padre è cresciuto con queste parole d'ordine, io sono cresciuto con questo esempio. Poi finito di giocare, ho dovuto rivedere almeno la prima parte. Mi presentavo alle aziende come agenzia di organizzazione eventi: mi ascoltavano perchè ero Dino Meneghin, ma non si concludeva niente. Così mi sono messo a studiare, ho imparato che bisogna saper parlare». I ragazzi del master post-universitario ascoltano questo testimonial credibile. Un paio di loro, livornesi (e chi conosce il basket sa che il pubblico livornese è muy fanatico), mostrano anche grande competenza cestistica.



POCHI A COMANDARE. La ricetta perfetta per una società? «Pochi a comandare e ognuno nel proprio ambito. Guai alle società in cui mette becco anche l'ultimo dei consiglieri: presidente, general manager e allenatore bastano. Successe a Varese: Borghi ci mise i soldi e definì i ruoli. Varese decollò. Così, credo, è successo anche a Treviso. E questo vale per le società sportive ma anche per le aziende».



CRISI CLUB. Cosa si è rotto a Livorno e Bologna? Le squadre di club italiane non sono più ai vertici. «Sono cambiate molte condizioni. Siena spende circa 30 milioni, il Real ne spende 70. Ma in Spagna c'è un regime di tassazione che invita i giocatori americani a scegliere Real piuttosto di una squadra italiana. Grandi giocatori, grandi risultati. Difficile convincere un privato ad investire tanti soldi se in cambio non c'è visibilità internazionale. Così vai a guardare quelli in borghese - non in tuta, in borghese - del Panathinaikos, e scopri che ci puoi fare una squadra di Lega in Italia. Quando prendi nota di questo, capisci il momento italiano».



RAI MATRIGNA. Non è contento del rapporto con la Rai: «Da un anno e mezzo e fino al 2012 abbiamo un contratto con la Rai che all'atto pratico ci penalizza e penalizza, soprattutto, gli imprenditori che investono in questo sport. Non è infatti previsto l'obbligo di far vedere la nazionale "in chiaro". Ad agosto avevamo otto partite e sono andato da Galimberti per chiedere uno spazio, magari al posto della Signora in Giallo che abbiamo già visto tutti. Mi ha detto sì per la diretta del match con Israele, ma poi è diventata una differita. La Lega stessa che va su Sky, che il basket lo fa bene, ha in realtà un numero limitato di telespettatori. E poi i risultati del basket non figurano nemmeno nel notiziario sportivo. Un servizio pubblico con tanto di abbonamento pagato? Quando scadrà il contratto per nazionale e Lega, ci saranno molte cose da rivedere».



MANCATO REYERINO. Dopo il babbo trevigiano, spunta anche la mancata squadra veneta; «Sì è vero, stavo per venire a giocare a Venezia. E non mi sarebbe dispiaciuto: ancora oggi adoro Venezia. Venimmo a giocare con Varese e la sera andai a cena con i dirigenti veneziani, che mi fecero la proposta. Ma poi arrivò anche quella di Milano e scelsi di restare in Lombardia: la mia famiglia non si mosse da Varese e tutto fu comodo».

QUELLI CHE IL BASKET. «L'ex presidente Ciampi, il presidente della Banca d'Italia Draghi, Vittorio Gassman, Lorenzo Jovanotti, Cesare Cremonini, Andrea Mingardi, per non parlare di Lucio Dalla. In italia si parla sempre di Quelli che il Calcio. E Quelli che il Basket? I primi tre lo hanno giocato a buon livello, gli altri lo hanno comunque praticato o amato. Nessuno ricorda che Claudio Baglioni ha scritto una canzone dedicata al pivot che giunge all'ultima partita, all'ultimo canestro. Bellissima. Nel 2011 la Fip compie 90 anni e tutto questo lo voglio riunire in un libro. Il volley si è risollevato dalla crisi, noi dobbiamo fare altrettanto. Dobbiamo essere più efficienti, creare novità e spettacolo. La nazionale e le grandi squadre sono il faro di un movimento che deve crescere. Devono crescere e formarsi i dirigenti a professionalizzarsi i procuratori, per non cadere in balia di giocatori che pensano, ognuno di sè, di essere Michael Jordan».



I NOSTRI IN NBA. «No, non alleviamo giocatori da esportare e non abbiamo l'ansia di importarli. Per la nazionale vige il massimo di un solo "passaportato", ovvero straniero con origini italiane. I presidenti dei club hanno ragione a cercare gli stranieri per creare spettacolo, noi invece vogliamo anche tanti ragazzi italiani da schierare qui. Certo, dei nostri in Nba siamo fieri e sappiamo che la loro carriera ai massimi livelli stimola i ragazzi a scegliere il basket. Ma non tutti arrivano e va dato supporto e dignità alle società minori a amatoriali che raccolgono gli altri. 3700 società ci sono, in Italia».