C.J. con un grande coach già visto recentemente...(fonte corriere.it)
Riparte con il nuovo anno la rubrica BASKET STORY, come sempre il nostro obbiettivo è di celebrare i grandi del passato, più o meno lontano, del nostro sport.

Giocatori, allenatori, dirigenti che hanno reso celebre il basket italiano ma anche internazionale. Il primo “ambasciatore” per la ripresa della nostra rubrica quest'anno è C.J. Kupec, straordinaria ala grande di classe sopraffina che proprio oggi vogliamo onorare “regalandogli” l'apertura visto che tra pochissimi giorni festeggerà il suo 58esimo compleanno. C.J. ha iniziato la carriera tra i Pro con Lakers e poi con i Rockets per approdare quindi in Italia con le maglie di Milano, Cantù, Bergamo, Reggio Calabria, Siena e Cremona. Giocatore di grande classe e con mano stra educata ha incantato i parquet di mezza Italia vincendo una Coppa dei Campioni nel 1982 con l'allora Squibb Cantù che sconfisse il Maccabi Tel Aviv nella storica finale di Colonia.

BASKETNET: La prima domanda è legata alla nascita della passione per il basket, tradizione famigliare, casualità, , come è iniziata la tua febbre per il nostro sport.



KUPEC: "Penso sia stato merito di mio padre che mi ha sempre incoraggiato a praticare ogni sport, è sempre stato lui il mio primo tifoso. Ho iniziato presto a giocare a baseball, credo a circa dieci anni, solo qualche anno dopo sono passato al football e quindi al basket. Me la cavavo onestamente bene in tutte e tre le discipline sportive, sono stato infatti selezionato come “All State” per lo stato di Illinois per ognuno di questi sport ed anche nei Top 100 per “All America” per il solo basket a livello di high school. Avevo la possibilità di scegliere tra diverse borse di studio ma alla fine optai per restare nel mio Illinois e scelsi la Michigan University. Quattro anni di grandi esperienze sportive, sono riuscito per due anni a far conciliare basket e football".



BASKETNET: Esperienza al college che ti ha dato molto, università del tuo stato, tanti emozioni da raccontare.



KUPEC: "La scelta infatti di giocare per Michigan fu dettata proprio dalla voglia di stare nel mio stato di nascita. L'università aveva un eccellente programma scolastico, la sede era a sole 4 ore da casa mia, la mia famiglia, gli amici, prova ad immaginare l'atmosfera e le sensazioni di un giovane atleta che gioca sia a football che a basket praticamente a casa propria e che resta tuttora uno dei pochi alunni di Michigan ad avere vinto la Big Ten in entrambe le discipline. Il top credo lo abbiamo raggiunto nel 1974 quando finimmo sesti nel ranking assoluto della NCAA a livello di basket. La parte difficile arrivò alla fine della carriera con i Wolverines: fui scelto infatti nel draft sia dai Lakers nella NBA che dai St. Louis Spirits della ABA, senza dimenticare le diverse offerte ricevute da alcuni team della NFL per giocare a football.



Il n. 41 CJ nell'orbita della leggenda Kareem
BASKETNET: Ed anche l'arrivo nella NBA ti riserva il meglio in termini di incontri leggendari nelle due esperienze tra i Pro : due lunghi che non hanno bisogno di presentazioni come Moses Malone e Kareem Abdul Jabbar.

KUPEC: "E' stato un onore assoluto per me poter essere compagno di squadra di due leggende come Malone e Jabbar. Kareem era un uomo molto silenzioso, di grande carisma, una persona di grandissima intelligenza non solo cestistica. Moses era un vero duro, uno dei pochi entrato tra i Pro, allora, direttamente dalla High School. Un lavoratore straordinario e credo il più grande rimbalzista che io abbia mai visto".



BASKETNET: Il fato ti ha portato in contatto nella tua carriera nella NBA con ottimi giocatori poi approdati in Italia. Penso a Cliff Meely (Rieti), Tom Abernethy (Brescia) per passare a Don Ford (Torino) e Neumann (Cantù), ricordi qualche episodio legato a loro sia in Italia che in America?



KUPEC: “Cliff Meely è di Chicago come me, qualche anno più grande, con lui siamo stati anche compagni nei Lakers per un breve periodo. Ricordo perfettamente lui a Rieti in coppia con Sojourner, un duo fantastico, per batterli con il “mio” Billy dovemmo fare una fatica pazzesca. Infatti fui proprio ad L.A. che incontrai anche Ford, Abernethy e Neumann. Don entrò nello stesso anno con me nella NBA, eravamo molto amici anche fuori dal campo, siamo rimasti sempre in contatto e qualche volta ci incontriamo ancora con piacere in California. In più le sue due figlie sono sposate con due ragazzi italiani, ed ogni tanto nonno Don viene a far visita ai suoi nipoti in Italia. Abernethy era un ottimo giocatore anche a livello di NCAA e giocammo spesso contro, lui era ad Indiana con Bobby Knight, ed anche in Italia fummo vicini per un periodo, lui giocava a Brescia io ero a Bergamo in A2. Anche con Tom eravamo buoni amici e spesso ci vedemmo durante quella stagione. Neumman invece era un “folle” cestisticamente parlando. Un termine che comunque vale nell'accezione più positiva, un giocatore di talento (il primo “bianco” che saltò l'università per cercare fortuna tra sia in ABA che NBA) e uomo di spettacolo, ancora oggi non so se sia una leggenda quella che narra di un suo canestro da distanza assurda a Venezia celebrato abbassandosi i pantaloncini! Johnny è sempre stato una persona di grande generosità nella vita privata, con tanto impegno nel volontariato, in particolare si è occupato dei problemi legati ai bambini con gravi problemi famigliari”.



BASKETNET: Un'episodio sicuramente più drammatico è quello che hai assistito in diretta durante la stagione 1977/78, il famoso pugno (The Punch) inflitto da Kermit Washington a Rudy Tomjanovich durante Lakers-Rockets del 9 dicembre 1977.(http://www.youtube.com/watch?v=jgqUZ1IAA_8)

KUPEC: “Consiglio a tutti i letto di cercare una copia del libro “The Punch” di John Feinstein. E' la storia di quella serata, di quel pugno violentissimo e della vita poi di Kermit e Rudy, e di quell'esperienza che segnò entrambi seppure in modo diverso. Sono citato diverse volte in quel libro proprio perchè compagno di Washington prima proprio ad L.A.(e confermo che Kermit all'epoca non andava troppo per il sottile visto che fece anche a me un occhio nero) ed in quell'occasione lo ero di Rudy con la maglia dei Rockets. Fu un colpo tremendo, tutti credemmo Tomjanovich fosse morto immediatamente, sul parquet c'erano sangue e liquido spinale dal cervello. Uno spettacolo scioccante, il volto di Rudy completamente distrutto, necessitò di diverse operazioni di chirurgia facciale, quella notte stessa pensammo in molti che non sarebbe riuscito a superare lo shock. Il Forum era avvolto da un silenzio indescrivibile, Rudy era a terra, immobile, sembrava senza vita. Uno spavento terribile per tutti. Ironia della sorte chi fu chiamato a sostituire Tomjanovich per la ripresa del gioco?Proprio C.J. Kupec!”



BASKETNET: Arriva il momento dell'approdo in Italia: prima stagione 1978/79 sei a Milano, maglia Billy, nuova nazione, stile di vita, una squadra forse sottovalutata ad inizio stagione ed ironicamente ribattezzata Banda Bassotti. Bassotti guidati da coach Dan Peterson che di strada ne faranno sino alla finale fermati solo dalla corazzata Sinudyne Bologna, finale che resta comunque un piccolo capolavoro. Coach Peterson di nuovo in sella e proprio a Milano dopo tanti anni dal suo inizio in biancorosso.

KUPEC: “Non era solo la prima stagione per me a Milano ma la prima anche per coach Dan Peterson con il grande Mike D'Antoni in regia. Coach Dan e Mike furono importantissimi per me perchè avevo sicuramente qualche problema di comunicazione, loro furono bravissimi a darmi una mano per aiutarmi. Oltre a loro c'era anche Mike Sylvester con cui potevo parlare inglese ma in generale alla fine degli anni '70 a Milano non moltissime persone lo parlavano bene, ma trovai grandi amici con cui avevo un bellissimo rapporto come “Tojo” Ferracini e Vittorio “Gallo” Gallinari. Ricordo perfettamente che amavo andare al cinema a vedere film in lingua originale e che frequentavo la chiesa appena dietro il Duomo di Milano, li si tenevano celebrazioni in inglese che mi facevano sentire a volte un po' a casa. Coach Dan comunque fu fantastico con me e con la squadra. Mi insegnò subito alcune parole chiave in campo, la prima in assoluto che imparai immediatamente fu “dammi la palla”! Peterson ci diede la carica giusta, facendoci credere di essere molto migliori rispetto a quanto pronosticato da stampa ed addetti ai lavori, superammo lo scetticismo generale arrivando a sorpresa in finale. Ci fermò solo una Sinudyne che era veramente fortissima, meritavano di vincere il campionato senza alcun dubbio. Mi resta il rammarico di non essere stato al meglio della forma per la partita di ritorno a Milano, avevo un febbrone pazzesco e rimasi a letto per ore prima della partita, nonostante questo problema giocai comunque una buona gara che però non servì per ribaltare il risultato. Sono felicissimo per il ritorno di coach Dan in panchina dopo tanti anni, allora questo significa che forse se mi alleno un po' c'è posto anche per me in seria A?”.



BASKETNET: Successo di grande prestigio sfiorato a Milano che invece diventa realtà a Cantù che nel 1982 conquista la sua prima coppa dei Campioni battendo a Colonia il Maccabi Tel Aviv campione uscente. Proprio con il Maccabi eri stato protagonista nel girone finale di un episodio controverso, un canestro apparentemente valido annullato inspiegabilmente che vi avrebbe dato la vittoria, con il cronometro che segna ancora due secondi dalla sirena finale.



KUPEC: “Ricordo ogni istante di quella magica stagione a Cantù! All'inizio ci fu un'accoglienza un po' fredda da parte dei tifosi canturini, Bianchini mi scelse imponendomi con autorità nonostante io fossi stato un “nemico” di Cantù perchè avevo vestito la maglia degli “odiati” rivali del Billy Milano. Ma la diffidenza evaporò presto, già alla prima partita misi subito a referto tre tiri dalla grande distanza ed il pubblico immediatamente dimenticò il mio passato da avversario. Quella Squibb era una grandissima squadra, giocatori di classe ed esperienza come Marzorati e Bariviera, giovani già fortissimi come Bruce Flowers ed il grande Antonello Riva, ed altri ragazzi in forte crescita come Innocentin, Bosa, Bianchi. Il tutto orchestrato da un allenatore preparatissimo e di grande carisma come Valerio Bianchini, senza dimenticare la gestione perfetta di un vero gentleman come il presidente Allievi. Ancora oggi ho un grande affetto per quella squadra e quei giocatori, diversi anni fa con la mia famiglia abbiamo celebrato il “”Giorno del Ringraziamento” a Roma ospiti della famiglia Bianchini, un giorno che ricordo con particolare piacere. Ancora sono in contatto e mi incontro talvolta con Bruce Flowers, oltre a Marzorati che vedo ogni volta che riesco a tornare in Italia come la scorsa primavera. Vincemmo con merito quella finale con il Maccabi, anche sfruttando un po' l'onda emotiva di quel “furto” subito a Tel Aviv. Dico furto perchè di tale si trattò, il mio canestro era buonissimo, tutti hanno visto che c'erano ancora due secondi sul tabellone!”.



BASKETNET: Non solo grandi esperienze nelle squadra tradizionalmente vincenti del nostro basket. Non ti sei fatto mancare anche alcune annate in società allora emergenti della nostra pallacanestro, la prima di queste a Bergamo in coppia con un altro straordinario campione come Chuck Jura e con un giovane coach alla guida, tale Charlie Recalcati. Una stagione letteralmente dominata con la promozione in A1 nel 1983.



KUPEC: “Arrivò un nuovo coach a Cantù (Giancarlo Primo n.d.r.) e decise di non trattenermi. Devo ammettere che ci rimasi piuttosto male, stavo benissimo li sia per i tifosi che per l'ambiente, avrei voluto difendere anche il titolo di campione d'Europa! Scelsi Bergamo perchè mi offrivano un buon contratto ma anche perchè ero affascinato dall'idea di giocare con un fenomeno come Chuck Jura ed avevo molta fiducia nell'allora giovane coach Charlie Recalcati. E la scelta fu a dir poco indovinata, stravincemmo il campionato dominandolo dall'inizio, lo “Sceriffo” Jura fu un compagno fantastico, Recalcati fece capire subito di poter diventare un grande allenatore. Mi divertiva tantissimo inoltre giocare con Daniele Giommi che era un'ottimo playmaker, ragazzo tra l'altro che incontrai ancora a Cremona qualche anno dopo”.



Kupec-Singleton, duo da favola per Cremona
BASKETNET: Un tour italiano che passa da Reggio Calabria a Siena sino ad arrivare a Cremona, raccontaci quelle annate vissute su e giù per la nostra penisola.

KUPEC: “Bella l'esperienza di Reggio Calabria, coach Benvenuti era preparato e con grande senso dell'umorismo. Una qualità che permetteva di stemperare la tensione durante la stagione, era una buona squadra quella Viola con Mark Campanaro e Kim Hughes, giocavamo un buon basket con Max Bianchi, il play, che avrebbe meritato maggiore credito perchè era davvero un eccellente play. A Siena arrivai a stagione in corso, riuscimmo a salvarci centrando quello che ormai era diventato l'obbiettivo stagionale. Non riuscivamo ad allenarci molto bene a causa del freddo terribile della vecchia palestra che certo non ci aiutava. Al di la dell'esperienza cestistica Siena e la Toscana sono stati un'esperienza meravigliosa, una volta abbiamo anche fatto il palio del Basket, e la mia contrada vinse! Non potevo finire meglio la mia avventura italiana scegliendo Cremona, ho amato la città, la gente e la squadra. Il primo americano della squadra era George Singleton, giocatore di grande qualità, io ero diciamo il suo “supporto”, coach Cabrini era bravissimo ed aveva creato uno splendido gruppo. Ritrovai Giommi, poi Gregorat, Bigot, Alessandro “Gatto” Bellone, peccato che il secondo anno non fu cosi straordinario, perdemmo Singleton che non era solo spettacolare ma anche un vero giocatore di squadra ed un autentico gentleman. Il destino volle che ci trovammo di fronte proprio in quello stagione in una partita chiave. Lui giocava a Forlì ed in quella gara sbagliò in modo inusuale due liberi consecutivi in un momento decisivo, ho sempre pensato che l'emozione lo bloccò, non poteva essere lui il killer della sua amata Cremona”.



Kupec da dirigente della NBRPA
BASKETNET: Una lunga carriera da giocatore, qual'è il contatto ancora con il mondo del basket di C.J: Kupec e la tue attività di oggi.

KUPEC: " La mia vita dopo il basket giocato è stata ricchissima di avvenimenti e soddisfazioni. I bambini che a Cremona possono ricordare oggi hanno rispettivamente 27 e 25 anni, mio figlio Christopher è pilota di aerei ed ha giocato durante l'università a football, mentre mia figlia Allison dopo aver praticato volley ha ora un ruolo importante per la UnderArmour (azienda di abbigliamento sportivo). Mia moglie Vicky ed io siamo sposati ormai da quasi 30 anni ed è stata hostess per la United Airlines per oltre 16 anni. Per diversi anni mi sono occupato della ricerca di fondi per finanziare varie università, al momento rappresento la United Naval Academy Foundation di Annapolis, Maryland. E' una professione che ritengo patriottica ed anche molto gratificante. In più sono nel direttivo che gestisce le attività del National Basketball Retired Players Association (NBRPA), un lavoro che svolgo per passione senza essere remunerato. L'intento dell'organizzazione è di finanziare borse di studio per i figli di ex atleti Pro oppure di aiutare proprio qualche giocatore del passato che attraversa recenti difficoltà economiche. Per chi vuole saperne di più della nostra attività di aiuto e supporto può trovare informazioni su www.legendsofbasketball.com

Ringrazio per la collaborazione determinante alla realizzazione dell'intervista Andrea Ferrari

Prossimo ospite: MARK LANDSBERGER