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Dino Meneghin, la sua idea contro il razzismo - dipingersi il viso di scuro con lo slogan “vorrei la pelle nera” - ha avuto successo. Un bel segno dal basket.

«Ne ero sicuro, perché il nostro sport non è mai stato razzista, anzi. Elliott Van Zandt, il ct azzurro che nel dopoguerra diede una scossa decisiva alla nostra pallacanestro, era di colore.

E molti idoli della mia infanzia e anche dei giovani d'oggi sono di origini afroamericane. Il basket italiano ha sempre amato i cestisti di colore».

Come è potuto succedere allora il caso di Abiola Wabara, l'ala del Geas insultata a Como da cori razzisti?

«Pare fosse un gruppo di ultrà infiltrati da altri ambienti sportivi, probabilmente legati al calcio. Certi individui vanno presi e cacciati dai palasport. Come quelli che insultarono tempo fa Carlton Myers. E' meglio tenere sempre la guardia alzata. E intanto dipingiamoci anche noi il viso di nero per solidarietà».

Comincia lei?

«Certo, così anche i ragazzi più giovani, che magari non leggono i giornali, si chiederanno perché ci coloriamo di nero e il messaggio arriverà».

Ai suoi tempi gli americani elevavano il livello del nostro basket, oggi invece rubano il posto ai cestisti italiani.

«I tempi sono cambiati. Una volta gli allenatori ci dicevano di passare la palla ai pochi stranieri che c'erano e imparare. Erano superatleti, avevi l'impressione di non poter mai arrivare alla loro altezza. Ed elevazione. Oggi invece molti americani si comprano il passaporto nell'Est europeo e trovano degli ingaggi da comunitari. Solo da noi sono 17 o 18».

Come succede in Bulgaria...

«Sono andato a lamentarmi di persona da Georgi Glouchkov, che giocò a Caserta, Reggio Emilia e Siena e oggi lavora per la federazione bulgara. Mi ha risposto che così gli americani possono giocare in Nazionale e far vincere la Bulgaria».

Invece la Nazionale italiana, che non consente naturalizzazioni facili, va alla deriva.

«E' vero. La legge Bosman ha tolto importanza ai vivai, che non sono più stati curati e non hanno più creato talenti nostrani. Bisogna fare retromarcia: potenziare i settori giovanili e formare buoni tecnici».

I club di A e Legadue sono delle spa, quindi devono badare al bilancio: perché dovrebbero curare i vivai che sono solo una spesa? O schierare obbligatoriamente giocatori italiani che costano il triplo degli stranieri e spesso valgono la metà?

«Le società devono mantenere un legame col territorio e creare giocatori per la Nazionale che è il traino insostituibile del movimento. La Fip dà premi in denaro per ogni cestista di vertice creato da un vivaio».

Si arriverà mai a un campionato di vertice tipo Nba, senza promozioni né retrocessioni, a tutela di chi investe?

«Non fa parte della nostra cultura. E sarebbe anche meno interessante. C'è un accordo: fino al 2012 i campionati non cambieranno. Poi vedremo».

Non è antisportivo che la penultima di serie A, se paga 500 mila euro, può evitare la retrocessione in Legadue?

«No. E' un modo per salvaguardare chi investe e le società che hanno i bilanci a posto».

Perché Siena in Italia resta una cattedrale nel deserto?

«Perché ha programmato bene negli anni, fatto scelte giuste, curato il settore tecnico, trovato uno sponsor come la Montepaschi e trovato sul mercato i giocatori più adatti».

Non potrebbero fare altrettanto Milano e Roma? Non è paradossale che piccoli centri come Cantù, Pesaro, Biella, Cremona o Montegranaro siano competitivi pur con budget molto inferiori?

«Su Milano non parlo, se no qualcuno si arrabbia. Credo che nelle piccole città ci si identifichi maggiormente nella squadra, ci sono meno sport concorrenti, si vive di più per il basket locale. Ed è meno difficile creare pool di imprenditori-sponsor: è la strada da seguire, vedi Varese e Biella».

Sky non ha rinnovato il contratto con la Lega Basket per trasmettere in diretta il campionato. Preoccupato?

«Se il nostro basket di vertice torna in chiaro forse potrà raggiungere più persone, non solo i malati di pallacanestro. E magari tornerà anche nei Tg».

A settembre ci saranno gli Europei in Lituania, per i quali l'Italia non si era qualificata ma è stata ripescata.

«Tappa importantissima, da non fallire assolutamente. Credo che ci saranno anche Bargnani, Belinelli e Gallinari, i tre Nba. È da Atene 2004 che siamo fuori dal giro. Troppo. Dobbiamo tornare tra le big».