Durante il primo Basket Day della stagione 2008-2009, Gianmarco Pozzecco segnalava agli spettatori di SkySport2 quanto fosse importante per una squadra avere un playmaker abile nel giocare il pick&roll. E se lo dice lui c’è da fidarsi…

 

Negli ultimi tempi la ricetta vincente per un gm sembra infatti quella di accoppiare un piccolo ed un lungo capaci di giocare a due e possibilmente affiancargli un quattro perimetrale che consenta di allargare il campo e sfruttare gli spazi creati dal taglio del bloccante; semplice ma estremamente efficace.



Solo nel nostro campionato, sono numerosi gli esempi che tracciano una evidente linea di tendenza: le prime due della classe Siena e Virtus Bologna hanno probabilmente i migliori interpreti di questo tipo di gioco con la coppia McIntyre- Eze (o Lavrinoviç) più Stonerook (o lo stesso Lavrinoviç) sul perimetro da una parte e il duo Boykins-Ford con Terry o Giovannoni ad agire dietro l’arco dei tre punti dall’altra. E nella passata stagione, la capacità di sviluppare il sistema offensivo su principi simili fece le fortune delle tre grandi rivelazioni dell’anno Avellino, Montegranaro e Capo d’Orlando.

Appare chiaro dunque che la concezione del gioco a due sta subendo una profonda trasformazione. L’idea sempre più comune è quella di utilizzare il pick&roll non tanto e non solo per finire un’azione, ma anzi per entrare nei giochi d’attacco contro la difesa schierata e sfruttare le diverse opzioni che da esso si generano; il risultato è che oggi il pick&roll finisce per coinvolgere tutti e cinque gli attaccanti in campo. Nel 1996 e nel 1997 gli Utah Jazz sfioravano per due volte di seguito il titolo NBA imperniando il loro attacco sulle soluzioni create dall’intesa fra John Stockton e Karl Malone; ai giorni nostri, il coach dei San Antonio Spurs Gregg Popovich sceglie di far partire nello starting five un giocatore che in realtà non vale il quintetto base come Matt Bonner pur di garantire il miglior equilibrio possibile al set offensivo originato dal gioco a due tra Tony Parker e Tim Duncan. Ciò vuol dire che nel basket contemporaneo il pick&roll è ormai divenuto un principio di riferimento su cui strutturare un intero sistema offensivo.

Ma giocare il pick&roll e le sue possibili varianti implica per i giocatori aumentare il loro livello di interpretazione delle situazioni di gioco. Ecco che allora la differenza finisce spesso per farla la qualità dell’esecuzione. Recentemente è andato in scena il quarto di finale di Eurolega tra Montepaschi Siena e Panathinaikos Atene, due squadre che di pick&roll vivono e muoiono. Alla fine una delle principali differenze che hanno fatto pendere l’ago della bilancia dalla parte degli ateniesi è stata proprio la loro maggiore lucidità nello sviluppare e finalizzare le situazioni di gioco a due con Spanoulis, Jasikevicius e Diamantidis nel ruolo di registi e i vari Batiste, Pekovic, Fotsis e Nicholas nelle vesti di micidiali finalizzatori.

Il dado sembra tratto, anche se ora non resta che mettersi comodamente in poltrona e godersi il finale di stagione per rispondere all’ultimo e più importante interrogativo sull’argomento: con il pick&roll si vince o si perde? Tutto sembra suggerire che un play abile nel giocarlo sia meglio averlo in squadra. Poz docet…

Cristiano Pettinari