SEDICI PUNTI, una marea di rimbalzi e tante botte divise tra gomitate e spintoni. Diego Fajardo si è fatto largo nel primo scrimmage della stagione contro la Edimes Pavia. Di questi tempi le gare e soprattutto i risultati lasciano un po’ il tempo che trovano, ma se venerdì sera la V Nera fosse tornata a casa dal PalaRavizza con una sconfitta, i processi sulla formazione bianconera sarebbero immediatamente partiti, mettendo probabilmente sul banco degli imputati il settore dei lunghi.

 

 

«Queste gare — spiega lo stesso Fajardo — servono per vedere quali sono i nostri progressi sul piano del gioco e come cresce il carattere della squadra. Dopo due settimane di allenamento abbiamo disputato una buona partita e, stimolati dal fatto che il tabellone veniva azzerato alla fine di ogni periodo, abbiamo provato a vincere ogni quarto, come poi è successo. Anche questi sono piccoli segnali che stiamo andando nella direzione giusta».

La critica principale, però, rimane: il tallone d’Achille della Virtus sembra essere la posizione numero 5. Cosa risponde?

«Mi sembra prematuro trovare dei difetti ad una squadra che non ha ancora disputato una gara ufficiale. In questo momento dobbiamo essere costruttivi e fare osservazioni costruttive su noi stessi. Ci stiamo allenando bene insieme, ma non possiamo ancora conoscere quali saranno i frutti del nostro lavoro».

Lei è da venti giorni a Bologna. Che cosa l’ha più colpita dell’ambiente Virtus?

«La sua grande tradizione e la sua storia. Avendo giocato per due stagioni a Imola, Bologna la conoscevo già e mi ha sempre stupito come in una città che negli anni è rimasta a misura d’uomo, la Virtus sia riuscita a conquistare così tanti trofei da far invidia alle squadre delle grandi metropoli».

Rispetto a quel giocatore così combattivo, Fajardo come è cambiato?

«Solo l’età cresce e questo fortunatamente si traduce in maggiore esperienza nello stare in campo. Per il resto è rimasta la voglia di voler andare su ogni pallone per provare a conquistarlo. Nel tempo mi sono fatto un po’ più furbo e ho imparato a sfruttare al meglio ogni piccolo vantaggio».

Aspettative e nuovi entusiasmi circondano questa Virtus. Si sente la pressione?

«Appena si è concretizzata la possibilità di venire alla Virtus, ho subito detto sì. Ad attirarmi non era solo la voglia di vestire a trentatre anni una maglia così gloriosa, ma anche la convinzione di poter contribuire in modo positivo al progetto. La pressione la giudico un fattore normale quando si gioca in un ambiente che ha vinto così tanto: oggi nessuno sarebbe in grado di promettere un risultato piuttosto che un altro. Osservando i miei compagni e il nostro impegno in allenamento, posso dire che la squadra proverà a dare il meglio di se stessa in ogni occasione».