Sergio Roberto Scariolo
Sergio Roberto Scariolo

IN EUROPA non avevano mai vinto, né lui né la Spagna. Per dare agli iberici campioni del Mondo e vice campioni olimpici, un titolo Europeo inseguito da una vita (due finali nel 1983 e 1999 perse entrambe con gli azzurri, più la grande delusione del 2007 in casa contro la Russia) ci voleva Sergio Scariolo.

 

Ci voleva un tecnico italiano.

 

Scariolo, oggi si sente campione o ‘campeon’?

«Tutte e due le cose».

Vincendo un Europeo da ct ha fatto meglio persino di Ettore Messina che, nel 1997, si fermò all’argento.

«Ma perché volete mettermi contro Ettore? Siamo amici».

Proprio perché siete amici ci permettiamo di rivolgerle questa domanda.

«Europeo a parte, diciamo che vorrei prendere come esempio l’albo d’oro di Ettore. Ho voglia di mettermi in competizione con lui per l’Eurolega».

Torniamo all’Europeo: eravate partiti male. Cosa è cambiato?

«La difesa. Quando è scattata la molla, la Spagna non ha più sbagliato. Poi, avevo dei grandissimi giocatori».

I suoi giocatori non le hanno mai rinfacciato la nazionalità italiana?

«Mai, c’è sempre stato grande rispetto e un grande senso di dedizione al lavoro. Poi è vero che, quando si perdeva, ero solo un tecnico italiano (sorride, ndr)».

Quando ha capito che avrebbe potuto vincere?

«Solo nell’ultimo quarto della sfida con la Serbia. Nella pallacanestro le situazioni cambiano rapidamente».

Si sente ora un ‘Grande di Spagna’?

«Sono arrivato a un’età per cui un titolo in più o in meno non cambia. Poi la musica è sempre la stessa: se vinci sei un fenomeno, se perdi sei in discussione».

Quando l’hanno premiata, ha sventolato il tricolore?

«No. Devo dire che con lo sguardo ho cercato la nostra bandiera. Fino alle semifinali c’era. Al momento della premiazione era sparita».

Ha dovuto cantare l’inno spagnolo?

«No, è un motivo musicale, senza parole».

Lei campione d’Europa, l’Italia a casa, fuori dalla fase finale. Che consigli dare?

«I consigli li do solo a casa mia, ai miei figli».

Complimenti per la diplomazia. Ora che fa, festeggia?

«Magari. Mi aspetta un artroscopia per un menisco».

Ha forse cercato di rifilare qualche calcione ai suoi giocatori quando le cose non giravano per il verso giusto?

«No. Non ci sono stati screzi: durante l’Europeo ci sono stati stima e rispetto».

Tornerà in Italia?

«No, ora devo pensare al Khimky. Ho già voglia di cominciare l’avventura in Eurolega».

Trofeo che lei non ha mai vinto.

«Ho disputato due final four. Per vincere servono due fattori».

Quali?

«Il primo è meritarsi un club che abbia un budget per costruire una squadra che possa vincere. Il secondo è ancora più delicato: avere una squadra che può trionfare e portarla al successo».

Come l’è accaduto domenica all’Europeo.

«A livello di Nazionale avevo il massimo. Come club sono ancora indietro. Sono al primo step: devo meritarmi un budget per costruire una grande squadra».