Esordio con D'Antoni & C.
Esordio con D\'Antoni & C.

Secondo appuntamento con basket story che questa volta vede come protagonista Francesco Anchisi. Playmaker tutto talento e creatività in campo e personaggio godibilissimo e pieno di verve fuori dal parquet. Stile unico ed ironia che ci regala simpaticamente anche durante la nostra intervista.

 

 



BASKETNET: Francesco la tua passione per il basket nasce un po’ per caso come tanti incontri speciali nella vita.

ANCHISI: “E’ stato davvero così, da ragazzino all’oratorio Mater Amabilis (zona Fiera a Milano n.d.r.) c’erano due campi, uno di calcio e l’altro di basket. Come quasi tutti mi cimentavo a giocare a pallone, poi un giorno ci hanno asfaltato e reso quindi inagibile il campo ed allora giocoforza mi sono dedicato all’altro campetto disponibile cioè quello di basket. E’ stato un amore a prima vista, mi divertivo era uno sport che mi ha appassionato subito. Il mio primo allenatore, per così dire, Claudio Monti, mi ha suggerito subito di continuare. Sosteneva che avevo talento, capacità ed il giusto entusiasmo, ed ho provato per l’allora Simmenthal nelle giovanili.Ho fatto tutta la trafila sino ad arrivare alla prima squadra".



BASKETNET: Entri nei “10” che faranno la stagione 1977-78, alle spalle di un certo Mike D’Antoni.

ANCHISI: "Il mio primo vero debutto ad alto livello anche in questo caso è abbastanza casuale, era una gara di coppa Korac del 1978. Giochiamo contro il Bosna Sarajevo (vincitrice l’anno successivo della Coppa Campioni contro Varese) una squadra fortissima che stava per vincere il campionato juoslavo e che verrà battuta in finale solo dal Partizan Belgrado.Ho la possibilità di giocare diversi minuti e faccio una bella partita, diventa in pratica la mia gara da protagonista e non potevi esserci onestamente palcoscenico migliore".



BASKETNET: L’anno successivo quindi sei la giovane promessa del basket milanese, e nel capoluogo lombardo arriva Dan Peterson, un allenatore innovativo e vincente.

ANCHISI: "E’ stata un’annata particolare, in qualche modo magica per i risultati siamo arrivati sino alla finale persa con la Sinudyne Bologna. Ci chiamavano la Banda Bassotti, c’erano oltre a Mike anche Kupec, i Boselli, Gallinari, Ferracini, un gran bel gruppo ed abbiamo raggiunto risultati insperati. Coach Dan era fantastico, sicuramente decenni avanti nella comunicazione, nei rapporti con la stampa, nel trovare formule accattivanti per spiegare il suo modo di vedere il basket. Aveva uscite spiazzanti anche per noi giocatori che lo seguivamo durante l’anno. Nella semifinale con Varese vinciamo gara 1 in casa loro, poi però Varese viene a vincere a Milano e sembra finita. Nel dopo partita di gara 2 ci aspettiamo da Dan delle reprimende, preparativi per allenamenti intensi ecc. Invece lui esordisce dicendo “ragazzi grande partita, noi abbiamo giocato molto meglio, sono stati solo più fortunati. Ora rilassatevi e ci vediamo direttamente qui per la partenza per Varese”. Insomma altri allenatori ci avrebbero fatto ammazzare di allenamenti, magari ritiri pre partita, sia per “accontentare” stampa e dirigenza che per dare un segnale ai giocatori.Alla fine ci siamo sentiti tranquilli, come quasi de responsabilizzati, con la testa leggera abbiamo approcciato gara 3 a Varese ed abbiamo fatto ancora l’impresa vincendo ed andando in finale".



BASKETNET: Sei in grande ascesa e ci si aspetta un grande futuro per il giovane Anchisi, invece qualcosa si rompe nei tuoi rapporti con Milano.

ANCHISI: "Si l’anno dopo è iniziato il mio personale “Aventino” che è durato prasticamente 3 anni. Con la dirigenza dell’Olimpia ci sono state delle incomprensioni, loro volevano darmi in prestito io avevo altre idee, insomma ho interrotto la mia carriera di Serie A. Ho giocato l’anno successivo a Busto Arsizio in B ma senza grandi acuti, una stagione piuttosto deludente lo ammetto senza problemi, non avevo ne testa ne forse le giuste motivazioni".



 

Anchisi+Fischetto, creatività al potere
Anchisi+Fischetto, creatività al potere

BASKETNET: Anchisi schietto e dalla risposta pronta, il play fantasioso e di grande creatività in campo, ed anche l’Anchisi rubacuori, un vero personaggio anche rapportato all’epoca dove fiorivano piccole leggende metropolitane.

ANCHISI: “Caratterialmente posso dirmi certamente una persona che non ha mai nascosto le proprie idee e posizioni. A volte questo può creare qualche problema, a Varese ne ho avuti ad esempio con Sales, ma in generale non ha dato una svolta negativa alla mia carriera. Anche perchè comunque la mia vita da professionista non penso proprio ne abbia risentito. Il “leggendario” Francesco Anchisi “donnaiolo e seduttore”, ammesso che sia esistito, non penso potesse rappresentare un comportamento così lesivo della mia professionalità. Sicuramente molto meno nocivo di certe scelte assai più pericolose che da giocatore ed atleta si possono fare durante la propria carriera...”



BASKETNET: Dopo la sosta più o meno forzata approdi a Varese, tre anni importanti con una squadra che cerca di restare in quota dopo i formidabili anni ’70.

ANCHISI: "Il primo anno è stato molto divertente anche per l’arrivo di uno straniero come Kevin Magee (scomparso tragicamente nel 2003 n.d.r.). Un ragazzo dal talento fisico incredibile, una forza della natura. Ricordo con divertimento gli allenamenti che faceva uno contro uno contro Beppe Gergati. Gergati lo batteva regolarmente con alcune finte e con la tecnica, sembrava limitatissimo e mi diceva “ma come può fare il centro in serie A lui che lo batto sempre?”Poi in partita ne metteva 30 regolarmente e spazzava via ogni avversario. Proprio a Varese ho conosciuto il suo perfetto alter ego, ovvero Corny Thompson. Fisico che sembrava a dir poco decadente ma una tecnica, una intelligenza cestistica superlativa, un lungo dalle mani raffinate ed un rimbalzista insospettabile".



BASKETNET: Il tuo rapporto con Sales diciamo non decolla e quindi altra partenza stavolta a Desio in una squadra emergente, ed in quanto a talento qui trovi Guy Williams che forse dal punto di vista degli istinti parlava la tua stessa lingua.

ANCHISI: "Desio era una signora squadra in grande crescita, nel 1987 siamo tornati in A1 giocando un basket divertente e spettacolare. E con Guy Williams non potevi non divertirti, era capace di fare e provare la giocata spettacolare in ogni possesso, un talento sconfinato. Ovviamente mi divertivo io come compagno in campo ma era un’emicrania continua per Virginio Bernardi che allora era un giovane coach emergente. Il “povero” Bernardi non sapeva mai cosa aspettarsi, a volte faceva 30 punti in un tempo e poi spariva nel secondo, oppure a 10 secondi dalla fine sul possesso decisivo era in grado di cercare l’assist dietro la schiena. Era davvero un folle geniale in campo".



BASKETNET: Resti in Lombardia anche per le tue ultime stagioni in campo, Cremona ed Arese.

ANCHISI: "Sono stati anni piacevoli anche gli ultimi, c’era una bella atmosfera sia a Cremona che ad Arese. Ricordo in particolare che l’annata a Cremona era stata bizzarra, eravamo una squadra di vecchietti un po’ incerottati. Io, Giommi, Gregorat, califfi come Dave Lawrence (ex di Perugia e Mestre), Rod Griffin (monumento di Forlì) l’obbiettivo dichiarato era la salvezza ma nel girone di andata eravamo addirittura ai vertici della classifica. Poi si vede che con l’età siamo un po’ calati riuscendo comunque a salvarci a fine campionato.



 

Il futuro è nel relax
Il futuro è nel relax

BASKETNET: Nelle tue parole non manca mai il termine divertente, una sorta di manifesto della tua carriera di giocatore,animo da playground. Un termine che molte volte non ascoltiamo nelle parole di tanti giovani emergenti.

ANCHISI: "Credo che la parte principale e più bella della mia carriera è stata la grande passione ed il divertimento. Ero uno di quelli che giocava al Sempione (celebre campo dell’omonimo Parco dove evoluivano molti talenti milanesi negli anni ’70 ed 80), quella creatività che ricordavi tu è frutto anche del piacere del gioco libero, con il gusto del bel passaggio,del canestro lasciando libero l’istinto e la creatività.

In quegli anni c’era anche un modo più semplice di prendere lo sport ed il divertimento di giocare da professionista. Alla fine facevo un lavoro che non consideravo tale, puro piacere forse non contaminato da pressioni eccessive, da contratti con cifre da capogiro, da inutili e dannosi stress.In uno sport di squadra a prescindere dal talento e dalla considerazione che hai di te ci sono molti fattori che deve tenere presente. Ci sono tensioni, emozioni, il lavoro in gruppo con gli altri, creare un’atmosfera positiva senza troppi inutili nervosismi, tutti fattori che ti aiutano a vivere meglio secondo me la tua vita da professionista ed il rapporto con i compagni.Nel mio caso mi aiutava penso, questo con gli occhi di oggi posso dirlo serenamente, anche la mia estrazione sociale, mio padre era medico e vengo da una famiglia che potrei definire non certo ricca ma sicuramente benestante. Vivevo il basket come una bellissima avventura entusiasmante, ma non la sentivo come una esperienza di crescita professionale, di carriera nel senso più pieno e forse rigido del termine. Vivevo con la consapevolezza di poter anche smettere il giorno dopo e pensare ad un futuro diverso a prescindere dal basket, questo mi consentiva anche di prendere posizioni diciamo scomode, quella

schiettezza e sincerità che sentivo di potermi permettere anche nei rapporti con gli allenatori. Una scelta che altri ragazzi, che invece vivevano con diversa intensità la loro carriera professionale, erano costretti probabilmente ad essere più prudenti".



BASKETNET: In questo campo oltre al rapporto diretto tra giocatori e il coach è necessario il lavoro molto curato da parte dello staff dirigenziale, quali sono state le figure che potresti citare in questo senso.

ANCHISI: "I primi che mi vengono in mente senza dubbio sono Toto Bulgheroni e Marino Zanatta. Abbinavano la grande esperienza prima da giocatori, nella grande Varese, a quella nuova di dirigenti moderni che sapevano comunicare con noi atleti in modo molto chiaro e diretto. Posso citare anche Farina a Desio, altra ottima figura di persona preparata e competente nel gestire un gruppo emergente come quello brianzolo".



BASKETNET: Il tuo post basket è stato anche nel ruolo da dirigente ma lontano però dalla palla a spicchi, oggi quali sono le tue attività, le tue passioni.

ANCHISI: "Per qualche tempo sono rimasto legato al basket facendo il telecronista per Koper Capodistria (antesignana di Telepiù oggi Sky) di NCAA e devo dire è stata un’esperienza molto piacevole. Poi mi sono distaccato completamente, ho cercato altre motivazioni, sono stato dirigente alla Omnitel, poi Vodafone. Anche qui con il passaggio a Vodafone alcune condizioni sono cambiate ed ho virato verso un altro progetto che sto seguendo con molta passione. Si tratta di una società che organizza vacanze tematiche molto rilassanti ricche di spunti culturali ed attività personali come Yoga, corsi di lingua, escursioni ed attività sportive, il tutto con il comune denominatore del relax e del benessere. Scelgo personalmente le varie mete andando a vedere posti ed itinerari che considero un po’ fuori dal modo comune per come vivere la vacanza, siamo a San Pietroburgo (Russia), Cartagena (Colombia), Buzios (Brasile), Marrakech (Marocco). Quindi ho una vita itinerante anche se la mia “base” è a San Francisco dove vivo quando non viaggio per lavoro. Il basket diciamo è rimasto molto lontano e lo vivo come un ricordo di un periodo felice, uno dei miei due figli lo ha anche giocato brevemente qualche anno fa vincendo tra l’altro una borsa di studio negli USA. Ora però ha smesso ma lo segue comunque con grandissima passione.



BASKETNET: Un album dei ricordi cestistici lontano ma contrassegnato da momenti molto divertenti dentro e fuori dal campo, la tua esperienza di squadra , di gruppo che ricordi con particolare piacere.

ANCHISI: "Il gruppo con il quale ho partecipato ai Mondiali militari in Suriname nel 1985.C’erano Ricky Morandotti, Mandelli, Riccio Ragazzi ed il vice allenatore era un giovanissimo Sergio Scariolo. Bellissima esperienza, gruppo divertente tanti anedotti (non tutti raccontabili...) e la vittoria finale a coronare il tutto".