Saltato Dixon, la squadra rimane senza playmaker, nonostante la partenza di Minard. Cronaca di una storia già vissuta

 



Nuova puntata della telenovela Virtus Roma. In un articolo precedente avevamo parlato della cessione di Minard come sacrificio obbligato per arrivare alla firma di Dixon, fortemente voluto da Boniciolli.

Da quell’articolo, di cose ne sono cambiate. Non è cambiato il destino di Minard, già giocatore del Khimki, bensì quello di Dixon e della Lottomatica, le cui strade non si incroceranno più. Il tira e molla portato avanti dalla dirigenza romana, prima con la scusa dello spazio in roster, poi col tentativo di prendere Rakocevic (che è una guardia e chiama 1,8 milioni di euro all’anno, che sarebbero 450.000 euro per i tre mesi restanti), infine con la richiesta di un abbassamento della cifra pattuita per la firma del playmaker, ha convinto Dixon a interrompere le trattative, suscitando l’ira della BeoBasket, sua agenzia di procura. La storia si ripete: l’ennesimo giocatore sedotto e abbandonato dalla Lottomatica ha deciso di rinunciare all’offerta e di non approdare al Palaeur, con buona pace di coach Boniciolli che ora si troverà a gestire un roster senza un playmaker e senza la migliore ala piccola degli ultimi due mesi. I paragoni tra Giachetti e Poeta mostrano semplicemente l’abilità del triestino nel fare di necessità virtù, ma la realtà dei fatti evidenzia l’ennesima imbarazzante mossa dei dirigenti capitolini in fase di mercato. Si ripete lo stesso copione del 2003, quando Vanterpool (poi finito a Siena) non approdò nella capitale per una differenza tra domanda e offerta di 20.000 dollari, gli stessi che non permisero a Rocca di indossare la maglia Lottomatica nell’annus horribilis di Napoli. Nuovamente la Virtus decide di tirare troppo la corda nel tentativo di risparmiare soldi, riuscendo solamente a precludersi l’obiettivo prefissato. I novelli Phil Connors in abito scuro e stemma romboidale giallorosso sul petto non sembrano però capaci di emulare il protagonista di “Ricomincio da capo”, anzi appaiono ogni volta impreparati all’evolversi dei fatti, come se la scelta dei giocatori (o presidenti), che di volta in volta rispondono picche al gioco al ribasso, fosse deprecabile e incomprensibile, oltre che inaspettata.



Più le cose cambiano, più restano le stesse, dicevamo tempo fa: la trattativa saltata con l’americano ex Treviso è l’ennesima prova di questo assioma tutto virtussino. Poco importa se la squadra ne risentirà, se l’amore dei tifosi ha raggiunto un valore prossimo allo zero, se è più che concreto il rischio di non approdare ai playoff e perdere quindi la licenza triennale, per quello che sarebbe l’ultimo insuccesso di una stagione fallimentare. Ciò che incuriosisce è capire se questo modo di lavorare preannunci un disimpegno della presidenza, che per la prima volta non avrà appigli per giustificare il disastro di una stagione morta e sepolta già con le dichiarazioni di maggio scorso, quando si puntò il dito contro il palazzo cestistico, confermando contemporaneamente lo staff tecnico nonostante il crollo casalingo con Biella. Questa volta non ci saranno Top 16, qualificazioni in Final Eight, semifinali playoff o secondi posti in regular season a giustificare un’annata insipida. Resterà spazio solo per i rimpianti, le discussioni, anche i litigi, che animano ogni estate virtussina da troppo tempo. Rimangono poche settimane per rimediare, ma le premesse non inducono all’ottimismo. L’ennesimo passo indietro, una nuova caduta a dimostrazione dell’incapacità di imparare dai propri errori di una società senza identità di vedute, né capacità di autocritica.