Ultima puntata, ieri. Dino Meneghin, simbolo dei canestri italici e da febbraio anche numero uno federale, ha ribadito una linea condivisa pienamente anche dal Coni: «Finchè non desiste il ricatto della Lega e non viene ritirata la delibera che impedisce ai giocatori del vivaio di andare nelle Nazionali giovanili, non mi siederò a nessun tavolo per trattare», le parole di SuperDino. Che ha aggiunto: «Chiedo soltanto più spazio per i giocatori italiani e non mi pare che tesserare un nazionale in più in campionato sia così deleterio per le casse delle società. Sono disposto a trattare su tutto, ma su questo non transigo».
DALLA LEGA, a stretto giro di posta, è partito un altro attacco: secondo i club, Meneghin ha commesso «una grave e inaccettabile ingerenza con l’evidente obiettivo di condizionare l’operato degli organi di giustizia federale». Il presidente Fip, ricorda la Lega parlando di «atteggiamento intimidatorio», ha auspicato infatti una punizione esemplare per i presidenti di Biella e Montegranaro, società che non hanno dato la disponibilità dei loro giovani ad una convocazione azzurra. Di qui la conferma della linea adottata: slittamento dell’inizio del campionato (la chiamano ‘serrata’, in realtà è un posticipo di appena una settimana) e no alle Nazionali giovanili).
Sarà anche così, ma i club dovrebbero spiegare come mai un paio di società (Treviso, la Virtus Bologna) abbiano già detto in assemblea che i loro giovani alle Nazionali di categoria li daranno ugualmente. Non solo: andrebbe chiarito anche perchè nei casi di Montegranaro e Biella il no all’azzurro sia arrivato dalla società, e in altri casi (ad esempio, Siena) direttamente dai giocatori: forse, più che sulla decisione della Procura federale di convocare i ragazzi, in Lega avrebbero dovuto interrogarsi su questo.