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C’era una volta l’America
di Bruno Boero
La prima volta che sentii parlare di basket americano, da noi a quel tempo si chiamava pallalcesto, (acronimo FIPAC) il riferimento andava al suo inventore dott. James Naismith, proprio colui che ha infettato ciascuno di noi con l’omonimo morbo, diffusosi in tutto il mondo dal dicembre 1891 in avanti, ed ancora non debellato.
Sempre per sentito dire, e passato un po’ di tempo, dallo sbarco di Anzio, ecco comparire da noi dalle rovine del dopoguerra, il nome di Eliott Van Zandt, capitano di colore dell’Arkansas nonché primo importatore autorizzato in Italia di “fundamentals and Co”.
Per soli quattro anni, purtoppo , Eliott ha cercato proseliti tra le giovani leve che uscivano dal lungo sonno bellico: parlo della generazione di Rubini (esordio in nazionale nel 1946), Cerioni, Tracuzzi, Rapini, Romanutti, Garbosi, Giancarlo Primo e Alessandro Gamba, che succedevano ai precedenti colleghi di Nazionale: Dondi, Castelli, Marinelli, Paganella, Stefanini…
Al coloured succede dunque il vulcanico Jim McGregor, colui che ha allenato più squadre nazionali di chiunque altro al mondo, soprannominato il “gitano rosso”, tutto difesa pressing e contropiede. Resta famoso un banchetto ufficiale in cui Coach Jim prende la parola per dire: “…e se la nostra squadra non andrà sul podio più alto, il vostro Coach salirà in alto”…e si trovò subito in piedi sul tavolo presidenziale. E quella volta in aerea da Milano a Los Angeles, in compagnia di una procace giovane bionda italiana, si accorge drammaticamente durante il volo che un giocatore italo-americano di nome Mark Campanaro era seduto a poca distanza da lui. Infatti Mark, per giocargli un brutto scherzo gli si avvicina e gli dice: “Coach, come stanno le tue due mogli?”…Intanto la bionda cambia posto e siede vicino al ben più giovane ed aitante Mark. Ma quando il gioco si fa duro, il vecchio Jim incomincia a giocare, e pertanto di lì a poco, il Coach si avvicina alla giovane coppia e chiede: “Mark, come va con tua sifilide?”…
Ma il morbo di Naismith ormai dilaga, e con esso la sete di fatti, notizie e modelli da oltreoceano.
Siamo nel 1960: Olimpiadi di Roma, che vedranno un sorprendente quarto posto della nazionale italiana del prof. Nello Paratore. Per la prima volta si vedono, anche in tv, grandissimi campioni del calibro di Oscar Robertson, Jerry Lucas, Walt Bellamy, Jerry West, Lester Lane, Imhoff, Dishinger, e compagni.
E vede tanto più lontano la Federazione Italiana Pallacanestro ancora sotto la guida del Presidente Decio Scuri, che organizza il primo grande evento tecnico moderno, un clinic nazionale proprio a Roma nel 1964: al palazzo di Viale Tiziano il “guru” prescelto ed attesissimo era Coach Lou Carnesecca, italo-americano di
Jamaica, New York City, un mito per la città di New York e per la sua S.John’s University. Quest’uomo tutto pepe, aggiornatissimo e modernissimo nei suoi insegnamenti, si era preparato per sei mesi per tenere il clinic in perfetta lingua italiana. Gli allenatori presenti (mi pare fossimo 400 mentre oggi siamo trentanovemila) vedono, dimostrati da Pierluigi Marzorati e soci, gli aspetti difensivi e offensivi del gioco e della transizione, che fanno guizzare in aria passione e voglia di conoscere un mondo sino allora neppure immaginato.
Intanto nel 1965 viene introdotto in Italia con il nome di minibasket il gioco inventato da Jay Archer, allenatore “paisà” di origine calabres, il cui vero cognome era Arceri.
Nel 1966 arriva ai piedi della Madonnina di Milano il mitico Bill Bradley, futuro senatore del partito democratico.
Inoltre, sotto la guida di Claudio Coccia (salito alla presidenza federale nel 1965) si svolgerà il secondo clinic nazionale tenuto da Coach Ben Carnevale l’anno successivo: a seguire nell’anno dopo, il terzo clinic targato Jack Ramsey, allora titolare della panchina di St. Joseph’s College di Philadelphia, prima di approdare alla franchigia NBA di Portland.