Mi accorgo di aver lasciato in seconda fila tutti i grandi Coaches NBA, e mi viene subito in mente per primo…
… Red Auerback dei Boston Celtics, per intenderci quello che accendeva il sigaro al termine di ogni gara vittoriosa, sostenendo che i “big Coaches smoke big cigars!”. Concluso il periodo di Bill Russell e Bob Cousy e nel decennio successivo Auerbach e il suo storico sigaro si trasferirono di pochi metri, dietro la scrivania degli “Irish”, garantendo loro altri venti anni di successi, culminati con la dinastia dei Bird, McHale e Parish, ”the chief”. Auerbach è da considerarsi uno degli ultimi allenatori-dittatori, per i modi da padrone che usava con i giocatori biancoverdi.

E poi a seguire, Gregg “Pop” Popovich (quattro volte campione NBA con i San Antonio Spurs , con la peculiare imperturbabilità ed autocontrollo, che sono divenuti proverbiali e lo hanno aiutato a gestire personalità molto focose in maniera quasi esemplare. Lui per primo ha scoperto la “via europea”, tirando fuori dal cilindro Ginobili e poi Parker, ha saputo costruire un nucleo di giocatori che, solo ritoccato, gli ha permesso di rimanere ai vertici negli ultimi dieci anni e… la favola continua.
Larry Brown, uno dei più grandi coach della storia, è l’unico ad aver vinto sia al College che nei Pro, ha raggiunto una Finale NBA con Philadelphia 76ers. Ha ottenuto un titolo con Detroit e la finale l’anno successivo sempre con i “bad boys” di Detroit.
Don Nelson è il coach che ha consacrato il gioco di attacco “run and gun”, gare con punteggi altissimi e pochissima cura della difesa: pur popolarissimo tra i giocatori, non è riuscito a fare di questo stile di attacco un sistema vincente.
Pat Riley ha costruito a Los Angeles sul finire degli anni ‘70 una dinastia che ha vinto nel decennio successivo, e lo avrebbe ancor più dominato se non fosse stato abilmente contrastato da Bird e soci e poi dai “bad boys” di Detroit Pistons e successivamene dai Bulls. Se gli irlandesi del trifoglio puntavano tutto sulla difesa e sul gioco di squadra musicato ed ispirato da Larry Bird, i gialloverdi di Riley erano i fautori dello “Showtime”, in cui Magic Johnson, Jabbar, Scott e soci erano capaci di sviluppare una pallacanestro ad alta velocità, spettacolare ed assai coinvolgente.
Mike D’Antoni, dopo una brillantissima carriera (anche italiana) sia da giocatore che da allenatore, ritorna negli USA dove nel 2003 viene assunto come allenatore ai Phoenix Suns. Nelle sue prime due stagioni è giunto per due volte alla finale della Western Conference. Ha vinto il Premio NBA di miglior allenatore della stagione 2004-2005. E’ stato a Phoenix fino alla stagione appena conclusa e nella prossima allenerà i Knicks di New York: molti appassionati italiani ed anche “paisà” faranno un tifo sfegatato per Mike: il suo mentore Dan Peterson (consiglio di leggere nel mio sito l’articolo “Due parole su Dan” di Ettore Zuccheri ) sostiene che lui sia il miglior coach NBA in circolazione, in virtù del suo personale concetto di allargare il gioco e gli spazi in attacco, che ne fanno un vero innovatore.
Vorrei terminare citando Coach Phil Jackson e Tex Winter. Phil Jackson appese al chiodo le scarpe da basket e allenò nella CBA, lega professionistica di secondo piano rispetto alla ABA e soprattutto alla NBA, cogliendo diversi successi. Ma la svolta nella carriera avvenne quando accettò come assistente la panchina dei Chicago Bulls, che in capo a due anni divenne sua. In questo periodo matura la teoria del branco e del lupo, sostenenedo che il lupo ha bisogno del branco e viceversa, ed inoltre racconta il rito del cerchio che veniva formato nel prepartita da tutti i giocatori della squadra, per chiamare a raccolta tutte le forze mentali e spirituali; rito imparato dal Coach durante un suo soggiorno presso una tribù indiana.
Di Coach Phil invito a leggere i suoi libri, alcuni sono ottimamente tradotti ed editi in un perfetto italiano, e cito “Basket & Zen” e “Più di un gioco”, e chissà quanti altri ne scriverà in futuro.
In quanto a Tex Winter, gagliardo Coach di 86 anni compiuti, seduto da innumerevoli anni a fianco o immediatamente dietro a Coach Jackson, consulente e responsabile per l’attacco (chi non ha mai sentito nominare l’attacco triangolo o triple post offense?!?!), rimando i lettori alla prossima uscita della raccolta di tutti i suoi appunti tradotti e raccolti dal sottoscritto nel clinc di Torino del giugno 2007, che - nelle intenzioni - vedranno al più presto la luce su questo sito. Augurate almeno buono lavoro!

P.S. Detto tra noi, aspetto e sogno il giorno in cui, anche colui che siede sul trono d’Europa, l’italianissimo Ettore Messina dovrà prendere la misura del dito anulare, per indossare l’anello più prezioso, quello di campione del mondo.

Parola di vecchio Coach